lunedì 31 dicembre 2007

il gran rifiuto


Di crociate e di mercati,
di strilloni, di abiti sacri.
Di seni grossi, di pochi soldi,
di calunnie e sguardi ingordi.

E di spighe e di dolori,
di soppressata, di viaggiatori.
Di solitudine e di attese,
di labbra secche, di braccia tese.

Delle unghie e dei santi,
di promesse e di rimpianti.
Di fedine e del buon vino,
del godere, del mattino.

Di quell’uomo che non parla,
che si volta e se ne va.

E non c’è, non c’è più,
chi si sveglia a testa in giù.
E non c’è, non c’è più,
chi distrugge una tv.

Io, io si, vi odio tutti,
tutti quanti più che matti,
siete tegole su tetti
di ciambelloni e di biscotti.

Io, io si, vi odio tutti,
indifferenti come gatti,
siete tegole su tetti
di paranoie e di sospetti.

E non c’è, non c’è più,
chi si sveglia a testa in giù.
E non c’è, non c’è più,
chi ti guarda da lassù.
E non c’è, non c’è più,
chi ti ama non c’è più.

E io si, vi odio tutti.
E io si, vi odio tutti.

Io, io si, vi odio tutti,
trasparenti come tanti,
siete tegole su tetti
di messaggini e di contatti.

Io, io si, vi odio tutti,
croce rossa e saltimbanchi.
Io, io si, vi odio tutti
e vi maledico a denti stretti.

Tutti, tutti, tutti, tutti.
Tutti, tutti, tutti, tutti.
Tutti, tutti, tutti, tutti.
Tutti, tutti, tutti, tutti.

domenica 30 dicembre 2007

cieli ciclici (e rondini stufe)

Salta fringuello, salta se puoi, finché le zampe ti sentirai.
Canta pazzia ilare e disperata e maledici con viscere raggrinzite l’idea di questa serata.
Il cerchio di visioni sfilza fra le code degli occhi e dei frac che a pelle e piume ci hanno.
Che nel circolo soffrirai, profondo perderai e il cielo e la polvere e il buio mangerà l’aria. Strapperà le dita il fumo di risa medievali, campane in algide torri d’eterea terra.
Ma tornerai ed io ti aspetterò. Tornerai perché io ti aspetterò.
Ad una ad una, le zampe mozzate, in legatura d’oro nel libro dei ricordi. Morirai, morirai solo quando piacerà a noi. Morto e umiliato da zimbello, col ventre rasato, il becco spaccato e quell’ala, quell’ala bruciata e vuota.
Ma tornerai, nel ciclo dell’acqua tornerai. Tornerai e poi ancora e ancora.
Quella notte passerà in torture sfumate, penetrerai nella terra per raggiungermi in ogni poro e soffocarmi di deliri dementi.
Tornerai nell’acqua che torna. Tornerai e sceglierai per noi la fine che non hai scelto per te.
Tornerai e passerai.
Mi lascerai vivo, lo so, per questo ti uccideremo. In una sera di versi sconosciuti morirai per lo svolazzar di molte ali nel nero. E non saprai quale, non saprai quale, non saprai quale avrà sferrato il colpo mortale.
Cadrai come acqua cade e sparirai, poi nell’eterno volo ascenderai. E se il più buono ti sembrerò, tu non credermi, non credermi mai.

lunedì 24 dicembre 2007

alambicchi sotterranei

Bolle. Di colore come luci e fili e odori e capelli strisciati senza fine né interruzioni e vestiti. Ribollire d’asfalto fuso, cioccolata scivola bionde colline di pandoro e capelli legati senza alcuna pretesa. Bolle. Leggermente si sale e s’ondeggia, ragnatele negli angoli catturano quanto accanto vi passa, parole senza senso, senza senso. Con costanza, calma costante come carezze con cui chiedere cosa conta e perché, di terra e di notte senza amore sui muri molli. Bolle. E un cannocchiale a guardare deformità, barba lunga di bolle, mani incrinate di bolle, capezzoli di bolle, mondi di bolle piccole e circoscritte, senza un’idea, chiara, coinvolgente. Addio di risa sciolte in latte caldo, alla mattina del dì che aspetta ancora un’altra mattina e che riposa, si riposa, senza curarsi di piedi nudi e spessi vetri che ne vibrano i tendini.

venerdì 21 dicembre 2007

felicithon

E' un paradosso proprio ora. Un paradosso che mai ci hai fatto pesare. Ed io, scarno come ossa spolpate, ho sempre suonato di vuoto. Adesso sto zitto, ed è sempre troppo poco, e scrivo.
Che almeno nella confezione non faccia pasticci. Devo imparare ad intrecciare una coccarda più bella. Ti dono un quarto della mia felicità del prossimo anno e voglio splenda nella sua carta.
La percentuale è forse un tantino alta. Ma si sa, io sono un musone e se non l'aumento un pò, alla fine non ti arriva niente. Non mi peserà. Essere ancor più musone migliorerà il personaggio.
Spero il messo te la consegni tutta. Se resta in famiglia non sono geloso. E' per te, solo per te che sai che vuol dire. Perchè quando si perde qualcosa significa che almeno lo si è avuto.
Ti auguro tanti problemi sentimentali che ti strazino il cuore.
Ti auguro insalatiere di pasta col formaggio che non ti piace.
Ti auguro derby persi all'ultimo secondo e librerie di quei libri fantasy che non ti piacciono.
Ti auguro decine di esami da togliere il sonno.
A me auguro di augurarti ancora e ancora sporte di emozioni intense e spensierate. E che la felicità che ti dono fecondi quella che meriti. Frutto succoso scampato al gelo d'inverno. Verso il sole corri, corri in eterno.

venerdì 7 dicembre 2007

soltanto una storia d’amore fantasy vol.1

Sembra impossibile. Le visioni di un vecchio che non distingue la realtà dall’immaginazione. Odio gli sguardi compassionevoli e anche quelli rapiti dei bambini. Non è un gioco perdio! E’ solamente quello che è successo: i meri fatti istante dopo istante! Morirei per dimostrarlo. Mi squarcerei le braccia per fissare con l’ultimo sangue la verità della mia storia. Non temo di morire; davvero non potrei temerlo più dopo quella mattina nella mia stanza.
Il tavolo era lo stesso delle lunghe notti di studio, con il legno scuro mangiato dalle matite con cui mi piaceva inciderlo. La carta la migliore che fossi riuscito a trovare, sembrava assemblata di fiori secchi grigi e rosa. La penna una delle mie preferite, leggera e scorrevole, d’inchiostro nero lucido. Passai la mano sinistra a sfiorare il foglio, come per aprire il sipario dei miei pensieri; poi tuffai la destra ad imprimerli.
“Caro amore,
o forse non vuoi più che ti chiami così.
Da quel giorno dentro me c’è una selva intricata, spazzata da venti gelidi. Il sole si è spento, soffocato da grovigli di rami ritorti su cui passeggiano animali senza volto. Senza volto, perchè se non è il tuo, nessun volto ha ragione di essere.”

Avrei dovuto fermarmi qui. Avrei dovuto avvertire la brezza cristallina che mi attraversava il collo e il fruscio di versi estranei che l’accompagnava. Avrei dovuto alzare lo sguardo sospettoso dal foglio, invece che cedere all’impulsività della mia dannata mano, smaniosa di fissare le emozioni che l’attraversavano.
“Una terribile bestia è dietro di me. Ringhia di furore, sbava saliva densa come i nostri momenti più belli. Vuole avermi, sbranarmi; conosce il mio sapore e si sazierà soltanto nutrendosene.
Ho bisogno di te. Senza te non ho speranze. Ma tu non ci sei; e con te il mio futuro.”
Mi bloccai su un sordo latrato che giungeva dalle mie spalle. Un umido rumore impastava il roco verso, tramutandolo in rantolo affannato che gelava il sangue e il palato. Anche la penna tremava, trascinando nei suoi sussulti la mano che la stringeva.
Alzai lo sguardo su una foresta vergine nata dove poco prima si ergeva il muro della stanza. Il cuore si fermò a gocce, nebbia gelata prese possesso della fronte.
Mi voltai forzando il collo rigido e chiusi subito gli occhi alla vista di quell’ispido pelo verde. Quando li riaprii, la visione della belva non era svanita. Grande come un orso e con lunghe zanne sfoderate, in breve sarebbe stata più reale che mai: stava per saltarmi addosso.
Appallottolai il foglio e lo infilai nella tasca della giacca insieme alla penna, poi scappai via.
Abbandonai il tavolo e la sedia alla macchia che li aveva inghiottiti e fuggii più veloce che potevo.
Saltavo radici, schivavo foglie grandi come aquiloni, urtavo rami flebili e tronchi spezzati. Mi era sempre dietro, correva troppo veloce. Calpestavo funghi e muffa, strattonavo rovi, spostavo liane coi pugni serrati. Le quattro zampe pelose galoppavano sempre più vicine. Scansavo alberi e arbusti, saltavo rocce, schizzi d’acqua mi bagnavano i capelli, una sagoma comparve al mio fianco, intrecciò le dita alle mie, scivolammo nel fango insieme. La fiera ci era ormai addosso, col suo puzzo di addio. Correvamo fiori, era una donna, travolgevamo insetti, non potevo voltarmi ma ne avvertivo la sagoma scura, superavamo pozzanghere, ossa, vermi. Il mostro, il mostro ci desiderava. Colori a stento si imprimevano nello sguardo, i suoi capelli frustavano il viso, l’incalzante ritmo dei piedi martellava a terra, quel profumo di donna sfumava coi tanti che lasciavamo alle spalle. Balzava feroce dietro di noi, alla distanza d’una lingua di bava. Il fiato mancava, ormai mancava, con uno strattone del braccio fuso al suo mi trascinò nel fogliame e poi si lasciò cadere. Nel buio precipitai con lei.

mercoledì 28 novembre 2007

scrivere

Solo scrivere aiuta a scrivere. Anche leggere aiuta a scrivere, ma soprattutto aiuta a leggere. A me andare al bagno aiuta a scrivere, sebbene questo sia un problema mio. E delle persone che devono andarci mentre lo occupo. Tentare di scrivere aiuta a scrivere, ma anche no. Non riuscire a scrivere non aiuta a scrivere. Far l’amore aiuta a scrivere, ma solo dopo, durante è meglio evitare. Anche una serata in buona compagnia aiuta a scrivere. Le grandi mangiate no. La pancia piena non aiuta a scrivere, né lo fa la testa piena. Le palle piene a volte si, mentre il portafoglio pieno è indifferente, pure se è sempre meglio averlo. Lo shopping aiuta a scrivere solo se si comprano abiti comodi e fighi. Il tempo non sempre aiuta a scrivere. Camminare aiuta a scrivere, ma serve chi elimina gli ostacoli dal percorso intanto che gli occhi sono sul blocco. La musica non aiuta a scrivere. Determinata musica aiuta a scrivere. Ogni scrittura sceglie la sua determinata musica. Guidare la macchina aiuta a scrivere. Una bella macchina aiuta due volte. Quando la macchina è propria e tutta pagata, aiuta aiuta aiuta. Immaginare qualcuno aiuta a scrivere. Anche immaginare qualcosa aiuta a scrivere, ma solo se è costosa o abbinabile al qualcuno. La merenda aiuta a scrivere. Se è un buon cappuccino e cornetto aiuta di più. Perfino se è un tè aiuta a scrivere, però solo coi biscotti giusti. Non poter scrivere aiuterebbe a scrivere se si potesse farlo. Il disordine aiuta a scrivere finché qualcuno non decide di convincerti a riordinare. Non so se essere innamorati aiuta a scrivere. Essere depressi aiuta a scrivere. Esserlo troppo non aiuta a far niente. Una notte insonne aiuta a scrivere. Passare più d'una notte insonne aiuta a non aiutare. Una volta scrissi dopo una lunga corsa. La volta successiva dopo la lunga corsa feci una doccia e una dormita. La doccia non aiuta a scrivere, ma non farla aiuta ancora meno. Parlare aiuta a scrivere e anche star zitti. Cucinare no, non aiuta a scrivere. Sentire l’odore di qualcuno che cucina per te aiuta a scrivere solo se l’odore è buono. La penna aiuta a scrivere. Se è blu lo fa un po’ meglio. La carta aiuta a scrivere. Il computer aiuta a scrivere, in modo meno romantico ma più efficace. I lettori aiutano a scrivere. Un complimento aiuta a scrivere. La critica aiuta a scrivere. Anche una parolaccia aiuta a scrivere. L’indifferenza non aiuta a scrivere. La propria indifferenza non aiuta a scrivere. La passione aiuta a scrivere. Pensare di voler scrivere aiuta a scrivere. Pensare ogni attimo di voler scrivere aiuta a scrivere. Molto aiuta a scrivere. Scrivere aiuta a scrivere.

domenica 18 novembre 2007

storie, leggende

Si narra di un quaderno. Un diario color del sangue che dal sangue è stato forgiato. In quello buono, scuro nettare che scorre soave in vene innamorate. Si narra che di tale rarità fosse impregnato e le suo pagine sgualcite dalla passione e che nessuno, nessuno potesse leggerne le righe senza smarrirsi nella memoria.
Ardente come le fiamme la sua legatura, scioglieva nel dilaniante dolore di quel divampare le dita che osavan toccarlo. Ma era lo spirito ad esserne attratto, con tal forza da dimenticar le bruciature, la pelle morta, le cicatrici indurite. Al suo cospetto ognun perdeva il senno e non più lo ritrovava.
Fu l’Amore stesso a nasconderlo, in un luogo segreto, affinché non nocesse ancora. L’Amore lo nascose e lo maledì; non lo distrusse, sebbene lo volesse, perché neanche l’Amore può distruggere se stesso.
“Che sia maledetta questa tua carta che ha lacerato cuori; questo tuo inchiostro che ha macchiato desideri. D’ora in poi esisterai solo, abbandonato, inutile. Strillerai e ti agiterai, ma nessuno ti sentirà. Se qualcuno s’imbatterà ancora in te, sfogliandoti non vedrà che il male che hai provocato e ne sarà vittima anch’esso.”
Si narra che vaghino ancora le anime degli amanti che ne incisero le pagine. Cieche e sorde, incuranti dei corpi; lo cercano per placare il loro inestinguibile tormento, benché conoscano il destino che le attende. Son pronte ad accettar la pena, convinte che nessun dolore sia più grande del non poter stringere il proprio dolore fra le braccia.
Cercatori compaiono in ogni dove; non c’è giorno che non ne nascano di nuovi. Lo bramano più d’ogni altra cosa: rivoltano cielo e terra, luna e sole, pur di saper se esiste davvero; pur di possederlo, anche per un solo istante.
Ho narrato questa storia a voi per mettervi in guardia. Non cercatelo! Non pensatelo neppure! Convincetevi che sia leggenda; soltanto una spaventosa leggenda. Non rischiate il vostro stesso essere, non lasciatevi trascinare da una corrente che non potete controllare; non consumatevi come le mie dita, sulle quali ormai son visibili le ossa.
Lasciate marcire quelle pagine là dove sono: abbandonatele alle loro stesse parole, a struggersi e dissolversi, fino ad essere dimenticate.

martedì 13 novembre 2007

torta&candelina

Ho pensato che una torta...
...bhè si, almeno una torta ci vuole. Non c'è compleanno senza torta e candeline.
Una torta gliela dovevo; non avrei mai sopportato che gli altri blog lo prendessero in giro...
...non posso trasferire anche su di lui la mia idiosincrasia per il compleanno.
Una torta gliela dovevo; un festeggiamento morigerato, di classe ma pur sempre un festeggiamento, con tanto di torta e candelina...
...e mille di questi post!

lunedì 12 novembre 2007

un'altra...

Ho pensato molto a questo post.
Volevo fosse una festa il primo compleanno del blog.
Poi mi sono ricordato come si chiama.
L'ho chiamato io in quel modo.
Mi è tornata alla mente la sera in cui pensai il nome e lo creai.
La definì una sera gelatinosa.
Anche questa lo è.
Volevo fosse una festa il primo compleanno del blog.
Poi mi sono accorto che questa sera è altrettanto gelatinosa.
Di quanto mi sono mosso in un anno?
In che direzione?
Volevo festeggiare.
Il blog è iniziato per caso e prosegue nello stesso modo.
Stasera il caso ha voluto questo.
E' stato il caso?
Boh.

mercoledì 7 novembre 2007

quante belle figlie Madama Dorè

Dev’essere che gli occhi non hanno sazietà, né dieta, né metabolismo. Dev’essere che si fa presto a vedere, apprezzare, immaginare. Dev’essere che dal gioco non si può sfuggire e che gli occhi di lago sotto i capelli castani sono irrinunciabili. E le bionde, le bionde, che dire delle bionde. Quella criniera dorata che incornicia i visi rende ogni opera un capolavoro. Ma delle more non si può fare a meno e dei loro occhi scuri che racchiudono il mistero. Dev’essere che son troppe le delizie e che il palato si evolve e non dimentica. Dev’essere quel modo di muoversi differente da sedere in sedere, la posizione che assumono quando sono in piedi, le pieghe sulle guance mentre trattengono un sorriso. Dev’essere che ci si innamora sempre della più lontana e le si scrivono lettere, si fanno strategie. Ma ci si muove in un cerchio infinito e la lontananza è grandezza relativa che muta con impressionante facilità. E non c’è nessuna cattiveria, nessuna malafede, solo un confuso assoluto che disorienta i pensieri. Dev’essere il profumo diverso di ogni pelle o le rosee sfumature delle innumerevoli labbra. La scossa di sfiorare una nuova mano o quel modo di parlare ancora mai sentito. E’ come viaggiare in posti ignoti, lasciarsi mozzare il fiato e farsi trasportare. Trasportare da fiumi sognanti, galleggiare su acque suadenti, bagnare di ricordi eleganti. Dev’essere che la felicità non vuole mai fermarsi, bacia sulla bocca prima di svanire con gesti ammiccanti. E la lingua rimane impastata di agrumi maturi appena assaggiati. E la lingua rimane impastata d’ultime parole a stento accennate. E la lingua rimane impastata di spiegazioni difficili mai formulate. Dev’essere che al vento non ci si può sottrarre, si possono solo spiegare le vele e andare.

mercoledì 24 ottobre 2007

duelli

C’ero anch’io in quella notte granulosa.
La luce perlacea delle nubi rimbalzava fra parcelle curiose di aria. Fra foglie sfilate d’un verde sbiadito nel nero. Fra lumache sul prato che sparivano come conchiglie in risacca.
Lo scalpiccio di piedi e zoccoli riduceva in frantumi pure il silenzio. C’ero anch’io in quel tempo sospeso e quel che vidi, quel che vidi fu la scintilla d’ogni storia.
I gong delle lame scandivano cicli di luna.
Fu la scintilla d’ogni storia.
Un’ancestrale danza lenta avvinghiava i due avversari.
La scintilla d’ogni storia.
I tendini tesi delle spade spasimavano d’impalpabili desideri.
Quel che vidi fu la scintilla d’ogni storia.
C’ero anch’io in quell’affusolarsi di membra. Colpi. Di destini e di scelte. Colpi. Di spade su lingue d’argento scese dal cielo. Colpi. Dei duelli che vivevo. Colpi. Di privilegi e di dolori. Colpi. D’acciaio che strideva coi denti serrati. Colpi. Dello sforzo che scava le braccia. Colpi. E di stille e di passato e di rughe. Colpi. Di confusione. Colpi. Di confusione. Colpi. Di confusione.
C’ero anch’io e volevo scappare. Ma scappare non si poteva, già ero inchiostro sulla carta. E piangevo. E sbavavo. Ad ogni colpo più forte tremavo. C’ero anch’io ed ero rapito. La notte inseguiva la notte. E poi notte. E ancora notte. Finché la notte comandava duelli.
C’ero anch’io in quel buio di latte. I muscoli delle lame ghermivano ogni paura. Fluiva la forza in piena travolgendo gli epici corpi. Mani sanguinanti possedevano else d’oro. Lettere e lettere ne impreziosivano il profilo. Eran parole di lontana provenienza, da lati opposti del mondo giungevano. E si scontravano per conoscersi. E si amavano per distruggersi.
C’ero anch’io e mi nascosi fra righe inesplorate.

mercoledì 17 ottobre 2007

capelli neri

Ma le colonne sorreggono i sospiri, il loro peso su quei fianchi snelli, io penso e ripenso ai tuoi capelli. Neri. Capelli neri. Che li ho cercati per un anno e li ho trovati ieri. Ammollettonati, sospesi, sfilati, di ciocche e ciocche confusi e leggeri. Capelli neri, a rifiorire un posto dove prima non c’eri.

lunedì 8 ottobre 2007

la favola di Hansel e Gretel raccontata dalla strega

Avrete sentito mille volte la storia della strega che attira due bambini in una casa di marzapane e cerca di mangiarseli.
Sono io quella strega e la storia non è andata affatto così.
Per quelli di voi che hanno sempre nutrito qualche dubbio sui fatti di quel giorno, è giunto finalmente il momento di conoscere la vera storia di Hansel e Gretel.
Dunque, io sono una strega. Ognuno nasce come nasce; io sono nata con i miei bravi poteri magici e li uso per risolvermi problemi ed esaudirmi desideri. Qualcuno farebbe diversamente?
Tra i miei desideri ci sono sempre stati i dolci. Devo confessare d’esser incredibilmente golosa; follemente innamorata dell’inebriante profumo che emanano quelle leccornie. Ciambelloni caldi, meringhe appena sfornate, dolcetti al cioccolato e delizie d’ogni genere. Guardarli, annusarli, mangiarli e cucinarli son le cose che amo di più. Quando scoprii la magia per trasformare i mattoni della mia casa in dolciumi, fui la strega più felice del mondo.
La sera in cui questa storia ebbe inizio, stavo cucinandomi qualche torta, ispirata dal delizioso aroma della mia abitazione. Quella stessa sera, due mostriciattoli ebbero l’idea di addentrarsi nella foresta mentre calava il buio e, per il colmo della sfortuna, incontrarono il corvo Barbolo.
Barbolo era, un tempo, un nano dispettoso e nessun’altra cosa lo divertiva di più che fare i suoi scherzi a me. Quando, l’ennesima volta, infilandomi le calze le trovai piene di scorpioni, persi la pazienza e lo trasformai in un corvo. Purtroppo anche da pennuto rimase lì intorno e, quella maledetta sera, convinse i due marmocchi a venire da me.
Io odio i bambini. Rumorosi, capricciosi e sempre avidi di dolci; i miei dolci. Sono andata a vivere in mezzo alla foresta proprio per non essere disturbata da nessun bambino; immaginate perciò la mia infastidita sorpresa nel vederli arrivare.
Lessi subito nei loro occhi il desiderio di sbranare la mia amata casetta; così, per distrarli, gli proposi di entrare per assaggiare delle torte appena sfornate.
Quei porcelli mangiarono tutto. Quando furono pieni come palloni si era ormai fatto tardi e, anche se non amo i bambini, non potevo proprio lasciarli tornare nella foresta con il buio e i lupi.
Quando, però, gli dissi che sarebbero rimasti da me fino al giorno dopo, le due pesti presero a strillare, a piangere e a correre qua e là per la casa. Intanto quello sciocco di Barbolo volò nella finestra aperta e iniziò a strillare stupidaggini sul fatto che li avrei mangiati e che non sarebbero più andati via; facendoli agitare ancora di più.
Ma chi mai avrebbe potuto prendere sul serio queste fesserie? Con i poteri magici che ho, cosa me ne sarei fatta di due fregnetti frignoni? E poi, perché avrei dovuto voler mangiare bambini vivendo in una casa fatta di dolci?
La situazione degenerava, i bambocci erano incontenibili. Spazientita, li schiaffai dentro una grande gabbia che talvolta usavo per pecore o altri animali. Sapevo che non era il massimo farli dormire lì, ma non ne potevo più e non sapevo cosa fare. Non potevo lasciarli andare di notte nella foresta e comunque lì dentro almeno si erano calmati.
La mattina dopo mi alzai presto. Per farmi perdonare della notte scomoda preparai loro tanti ottimi dolci. Quando andai a svegliarli e la bambina si propose per darmi una mano nelle pulizie, pensai che volesse far la carina e ringraziarmi; mai avrei pensato che lei e suo fratello mi tendessero un agguato. Ci si mise anche quel maledetto ex nano, che non vedeva l’ora di farmi un nuovo dispetto e che morì dalle risate quando finii a testa in giù nel pentolone dove avevo mescolato gli ingredienti per i dolci.
Alla mia età per una cosa del genere ci si può anche rimanere!
Ci misi un’eternità ad uscire da lì; riemersi sporca e furiosa e la cosa peggiore fu che non c’era più nessuno su cui sfogare la mia rabbia. Le due bestiole erano scappate via e anche il corvaccio malefico aveva preferito dileguarsi per un po’.
Dopo essermi ripulita mi tranquillizzai; ancora non immaginavo tutti i guai che ne sarebbero venuti.
I pidocchietti raccontarono cose terribili e false su di me al loro ritorno. I grandi gli credettero e cominciarono a rendermi la vita talmente impossibile da costringermi a traslocare. Subito dopo iniziò a girare la ridicola storia in cui io li attiro da me per mangiarli, così, da quel momento, ebbi problemi in ognuna delle foreste in cui andai a vivere.
Se solo quel giorno fossi stata abbastanza strega da scacciare quei due vermetti dai miei dolci, ora si racconterebbe un’altra storia e una bugia di meno.

giovedì 27 settembre 2007

ridere, ridere, ridere ancora

Ci sono facce che ti fanno il solletico all’intestino e tutte le budella si contorcono e ridono e si attorcigliano. Facce che non devono far altro che essere facce. Solo facce. E da facce sanno riflettere la gioia del mondo e spruzzicchiarla qua e là anche su pareti orgogliose del loro bianco. Sapere dove la trovano si andrebbe a cercarla da noi. La gioia del mondo. O forse no. Forse la si andrebbe a nascondere meglio, tatuandoci la mappa del tesoro nell’interno coscia. Così almeno avremmo un motivo per attendere un attimo prima di sfilarci le mutande. Ma un attimo è breve e l’attimo dopo quella mappa starà già sudando, sfregandosi su qualche altra parte di qualche altro corpo. Non ci sono più segreti. Non ci sono più motivi. Non ci sono più tesori. Né autentici cercatori. Ci sono solo le X. Tante X per capire dove affondare. E ci sono sedicenti esploratori coi vestiti attillati che affondano e si fanno affondare. Affondano e si fanno affondare. Senza battagliare, né per nave né per terra. E da uno sforzo nullo non esce che un nulla forzato. Ci sono sedicenti esploratori coi vestiti attillati e senza gli adeguati occhiali. Non distinguono il nulla. Non distinguono nulla. Ci sono facce che godono. Godono soltanto. Godono e vogliono godere. Ci sono facce che dimenticano altre facce e godono alla faccia di chi non ha la faccia per far lo stesso.

domenica 23 settembre 2007

momenti

Ci son momenti in cui sei come sabbia nelle mutande. Altri in cui ti sorseggio, delicato the, fra desolate lande.
Nei momenti che sei sabbia, sono nella risacca. E tutto si muove, su e giù, senza stabilità, senza un unico verso. Sono i momenti in cui mi sento vivo: la salsedine che sporca i capelli, il fastidio tra le gambe.
Nei momenti che sei the, profumi di lamponi. Tutto di te profuma di lamponi e dei cespugli in cui si colgono, degli alberi sotto i quali nascono, delle foglie che li proteggono. Nei momenti in cui sei the, ti gusto ad occhi chiusi, senza zucchero, senza pentirmi di un solo minuto.

giovedì 20 settembre 2007

coboldi rubicondi








Ci sono omini piccoli e bruttini,
che la notte disfanno ciò che di giorno combini.
Ci sono omonculi coperti di foruncoli,
che nascondono tesori non solo ai ladruncoli.
Ci sono ometti stracolmi di dispetti,
che rendono imprevedibile quello che ti aspetti.
Coboldi rubicondi, esserini nauseabondi,
dalle incerte intenzioni e dai volti rotondi.
Coboldi rubicondi, come le zanzare,
non le vedi quasi mai ma le senti ronzare.
Creaturine inaspettate cambiano i destini,
ti credi da solo e ce li hai nei calzini,
ti senti felice e sei tra i burattini,
pensi al futuro e ti scherzano da cretini.
Coboldi rubicondi, ebbri di girotondi,
lasciatemi il mio tesoro brutti manigoldi,
smettete di ingannarmi, arrivereste per secondi,
con le vostre bugie disseminate altri mondi.

venerdì 14 settembre 2007

sciogli le scarpe e cadi

Quando le lancette sono gatto che ti insegue, topo affannato e smarrito: sciogli le scarpe e cadi.
Senza curarti di risa e sguardi triangolari, di girotondi di suole sporche: sciogli le scarpe e cadi.
Rialzati con la calma delle maree, e con la loro noncuranza lasciati libero da nodi. Per cadere ancora.
Non temere di morire livido, temi di non accorgertene e fuggi questo rischio, con le scarpe sciolte, e cadi.
Non devi spiegare le stringhe al vento, devi spiegare le parole non scelte e quelle non dette perché eri ancora in piedi.
Sciogli le scarpe e cadi. E cadi e ancora cadi. Cammina con i lacci fra i passi e lasciati rischiare, lasciati cadere.
Sciogli le scarpe e cadi, di sassi e sorrisi, respiri, rugiada e sudore, di baci e ricordi, di notti insonni dormite a forza.
Il giorno è in piedi, ed ogni frammento di sole e di luna. Se cerchi le stelle, però, allora sciogli le scarpe e cadi.

mercoledì 12 settembre 2007

la maledizione del foglio bianco

Come fumo nell’aria ne ho avvertito l’odore spesso negli anni; e le chiacchiere, chiacchiere che ne avevano paura. Mai temuta da parte mia. Che di qualcosa si dovrà pur soffrire e magari fosse solo lei.
Il foglio bianco si riempie sempre sotto le mie mani. Si copre di colore mentre i giorni sbiadiscono. E sbiadiscono gli amori, ma non la fiamma che li alimenta. Così brucio di dolore nel vuoto che mi abbraccia.
Ma tu chi sei? Chi sei? Chi sei mai stata? Cosa fai quando io non lo so? E perché, perché, perché stai qui?
In via Adige scorre un fiume allegro che sa cosa incontrerà. Lo rinchiudo, lo porto con me, ma so cosa incontrerà. Il fiume rallegra quando scorre; fra mille lune imparerà a godere rinchiuso nel mare. Io sono prigione.
E allora che vuoi? Perché sei qui? Perché da me? Perché mi trattieni? Perché mi insulti, mi picchi e poi scompari?
Genocidio di massa il mio crimine nell’altra vita. Non si tramuta in dolce un assassino. Se così tanto devo scontare, conviene continuare a peccare. Almeno poterti urlare, gridare, abbaiare. Almeno poterti maledire, senza sentirlo, ma poi guardarmi allo specchio sereno.
Un altro aborto. Non nasco. Non nasco mai. Combatto sempre e male: non nasco mai. E’ finita. Mai iniziata e già finita. Nell’incompiuto gesto sacrifico la mia vita. Nella maledizione di un foglio bianco che riempio. Nella maledizione di una vita rossa che porto appresso, riempio e svuoto, astuccio di penne per il mio foglio sporco.

martedì 4 settembre 2007

senza intonaco

Il fascino dei mattoni a vista è indiscutibile. Sono un po’ le casette dei bambini. Anche i bambini hanno i mattoni a vista. Una resa, mani in alto e armi a terra e che vada come vada. Certo il cielo è un po’ grigio; è sempre un po’ grigio. Ma questo aiuta la creatività. Come la pioggia. Ogni mezzora. Magari aiuta anche la pelle; diventerà pure impermeabile prima o poi. Così il naso cesserà di gocciolare. E poi via senza precauzioni. Timori e eccessive cautele. Sui mattoni a vista non si scrive, non si prendono a scalpellate. Non c’è da chiedere altro se non che la cornamusa taccia. Ma non per sempre, non vorrei i mattoni ne risentissero. Sono pronto ad abituarmi io. E alla birra. Ai locali non rinuncerei mai. Ci giocherei a nascondino, comodo nell’angolo più nascosto e poi d’antro in antro. Di fiore in fiore nei giardini. Curati d’eccesso che rapisce il riso. Troppi colori che strizzano gli occhi e offendono il cielo. E rallegrano l’animo. E gli domandano d’affezionarsi. Qualcosa a cui legarsi. Labile, certo, ma bisogna ripartire. Ricominciare e iniziare da capo. Che il passato l’ho saldato e di futuro non ne vedo. Allora lo dipingo. Tra mattoni senza intonaco, che son stufo degli strati. Li accarezzo e non so sfogliarli. Risparmiate le domande e le illazioni. Fuggo è vero. Nel primo posto capitato è falso. Se fosse sempre vacanza perderebbe senso. Ho anch’io splendidi mattoni. Son costruito con i più lucenti e teneri. Ho voglia di metterli all’aria. Farli respirare e nasconderli. Chi non ne ha approfittato non ne abbia più possibilità. Per gli altri dolcezza. Non potevano non saperlo. Doveva arrivare il momento. Dovrà arrivare il momento. Le scale a chioccola ti girano intorno. E salgono, salgono. Verso il freddo, la pioggia. Verso il cupo tempo che dà il verde rigoglioso. Verso la mattina. Svegliarsi per la speranza d’una briciola di sole sulle case. E’ della fantasia che m’innamoro. Se posso pensare ciò che sarà. Se posso sperare che un giorno sarà. E’ per questo che sarò là.

venerdì 17 agosto 2007

patchworkpost [collage di post mai publiniti (pubblicati/finiti)]

Come scordare quella mattina alle sei, quando uscendo di casa con gli occhi ancora gonfi dalla nostra precedente notte d’amore ho visto quella scritta sul muro: “E’ finita! Griselda”.
Poteva essere per chiunque ma io l’ho sentito che era un messaggio per me. Da allora sei scomparsa. Non più un tuo cenno, tre anni scomparsi in un attimo e ancora mi chiedo il perché.
Non so dimenticarti. Non so dimenticare le volte che facevamo pacci-pacci-pum-pum. Con nessun’altra fare pacci-pacci-pum-pum è stato più bello. Quando dopo un bacio a Folletto Worwerk lungo un’ora ventosavamo le mani sui nostri corpi e tu mi sussurravi: “Hai voglia di fare pacci-pacci-pum-pum”. E io ti rispondevo estasiato: “E daje!”.

Io credo ai Puffi, a Babbo Natale e alla Befana; ma chi crede agli Snorky proprio non lo capisco.
Non capisco come si possa credere nell’esistenza di esserini colorati con un Coso che gli spunta dalla testa.
Stanno nell’acqua, tutto il giorno, e fanno le bolle.

Deserto di pietre e cactus e sole, distesa del West di Sergio Leone. Un po’ tundra, un po’ America prima maniera, un po’ Shaara, ma poco. Dove la notte è più nera del nero degli occhi a palpebre chiuse e molto più densa. E il freddo vibra nel riflesso di una palla di luna che lampioneggia a perdita d’occhio.
Un gruppo di selvaggi che ballano tra i fuochi e la paglia. Star con loro per ore, tra tamburi e risa. Che non hanno idea che l’indomani sarà un nuovo anno; per loro è solo una notte, che precede una mattina. E ballano e cantano per santificare la notte e la mattina.
Correre veloce come la luce e leggero come il vento, senza stancarmi. Raggiungere un branco di bufali e accovacciarmi tra loro. Sentirne il ruminare, il grugnire, la puzza. Poterne fare anch’io, senza timori. Sentirli dormicchiare e parlare di Bufale e attendere che sia una nuova mattina, non un nuovo anno.
Correre veloce come la luce e leggero come il vento, senza stancarmi fino a una tribù indiana, fino alle sue tradizioni. Festeggiano tutto, forse anche l’anno che se ne va, ma con totale grazia. E saltano, ridono e giocano, s’accoppiano e ridono ancora, urlano e ballano e cantano.

Chissà per chi sognano i sogni sognati.

In un tempo che non era proprio un tempo. In un luogo che non era proprio un luogo. Un uomo che non era proprio un uomo. Piuttosto un cavaliere, peloso e grugnante. In una serie di ore staccate tra loro che si avvicendavano senza mediazioni.

Piaci al re le dissero. E la portarono dal re.
-Perché piaccio al re?
-Piaci al re.
-Cosa posso fare per il re?
-Non basta piacere al re?
-Ho sempre sognato di piacere al re.
-Piaci al re.
-Non potrò più sognarlo.
-Cosa posso fare per te?
-Sognare di piacermi.
-Non ho mai smesso di farlo.
-Allora il re sa quanto è difficile.

Le chiavi le ho. Per la porta dei ghiacci e dei serpenti. Dei panni stesi e l’acqua corrente. Dei ricordi no. Che vaghino soli.

Scrivo di polvere e stomaco. Polvere in banchi più densi. Con sassi sospesi su cui sbattere la testa. E non si vede. Ad un passo non si vede. Non si vede nulla se non ombre. O forse miraggi. Forse sono miraggi. O forse no, è la storia che cresce dalle macerie. Dello stomaco che rotola su se stesso. E si stringe, si raggomitola.

La nebbia si è un po’ diradata e la polvere nell’aria posata nuovamente, impolverando tutto e liberando alla mia vista ciò che volevo scrivere. Ora che finalmente si distingue posso raccontarvi la storia del signore confuso.
Un signore entrò nel negozio di un anziano gelataio. Senza prestare la minima attenzione alle vaschette piene di deliziose creme dai mille colori, disse:
-Voglio una lasagna!
-Mi dispiace signore, ma questa è una gelateria, non ho una lasagna da darle.
-Guardi, so benissimo dove mi trovo ma io voglio una lasagna!

domenica 12 agosto 2007

l'uomo dei sogni

Sbadigli, sospiri,
nell’aria il fumo scorre,
dalla finestra,
la nebbia si confonde.
Stelle cadenti,
di desideri appesi,
al collo campane,
melodie viennesi.
L’uomo dei sogni verrà,
con sogni oltre il velo,
che salutarli farà tremare,
baciarli sarà languire.
Lasciali, scordali,
d’altre vite nutriti,
mai più vittima,
di passioni inutili.
Sognare è l’abito nuovo,
sgualcito d’ogni passato,
toccarlo lo priva dell’oro,
lo lascia piano marcire.
Lasciali, vattene,
uomo dei sogni fuggi o difenditi,
alla finestra la nebbia s’arrende,
nel fumo per sempre scompari.

mercoledì 1 agosto 2007

sera d'Agosto

In una serata d'Agosto è difficile scrivere sul blog. Non perchè sia Agosto. In realtà non è importante il mese, credo. Son io che non aggiorno il blog da un pò perchè non ho niente da dire. Oppure perchè ho talmente tante cose da dire che non riesco a sceglierne una da scrivere e il modo in cui farlo.
Quel che penso è che questa sera d'Agosto deluderà gran parte dei miei coraggiosi lettori. Immagino si aspettassero qualcosa di un pò più strutturato e particolare dopo tutto questo tempo. Me lo aspettavo anche io a dire il vero.
Se avessi avuto fra le mani un vero diario, uno di quelli cartacei intendo, allora probabilmente lo avrei colorato. O forse avrei voluto colorarlo ma non lo avrei fatto, perchè so di non esserne capace.
In questa sera d'Agosto non sono capace neanche di colorare con le parole. In questa sera d'Agosto temo non ci sarà nulla a restare impresso.
L'attesa. E i cambiamenti. L'attesa e i cambiamenti. Fidarsi del tempo, lasciarlo passare vibrando ogni istante un pò di più, perchè, fuori dal tuo controllo, cambiamenti potrebbero sconvolgere l'universo. E l'universo si era appena costruito e non avrebbe senso si sconvolgesse così presto, così come non ha senso avere paura.
Eppure non è solo paura, è un vero terrore che ti fa tremare le ciglia e ti fa venire fame e poi non più e caldo e smania. Perchè tu a quell'universo non puoi rinunciare, non vuoi rinunciare. Almeno non prima d'esser salito sul Millennium Falcon e averlo esplorato, vissuto, fino in fondo. Che solo volando in quell'universo ti senti davvero vivo. E non è l'astronave, non è il volo; sono le stelle che fanno il girotondo attorno a te. E ti senti a casa come a casa non pensavi di sentirti mai.
Poteva essere un bel finale per un post ma ho ancora voglia di battere sulla tastiera. Allora mi ritrovo a dire che a casa ci sono e solo e con la mente lontana anni luce e confusa e vogliosa di cambiare film. Non più tra le galassie, qui, sulla terra. Come un giovane Indiana Jones che vuole scoprire e vivere, lottare per ciò che ama, sempre, perchè non può farne a meno.

martedì 17 luglio 2007

Santi d’un cielo lontano

-Ho affittato una stanza, ho bisogno di soldi per le spese.
-Il costo dell’indipendenza!
-Già.
-Hai un mezzo di trasporto Cristoforo?
-Si, ho il motorino.
-Bene, facciamo così: domattina vieni alle otto e i ragazzi ti spiegano i dettagli. Rimani un mesetto in prova, poi decidiamo insieme. Che ne dici? Per il momento ti do cinque euro a consegna.
-Ok, per me va bene!
-Perfetto! Buona serata allora! Ci vediamo domani.
-Buona serata anche a lei signor Leone. A domani.
La mano del suo nuovo principale era tozza, sudata, con una molle stretta caramellosa che rese viscida anche la mano di Cristoforo. Faticava a tenere il manubrio; accelerava con due dita, sperando che l’aria fresca asciugasse l’umidiccia sensazione.
Il buio si prometteva completo da lì a pochi minuti; qualsiasi orologio guardasse non faceva che confermare la più consueta delle verità: era in ritardo.
Doveva ancora tornare a casa, sistemare il motorino, salire quattro piani di scale e indovinare la giusta chiave del nuovo appartamento. Trovare l’interruttore della luce, fare una doccia, rovistare tra gli scatoloni ancora intatti e cavarne vestiti puliti; poi rifare il percorso inverso e andare all’appuntamento con gli amici.
Pensò che lasciare il motorino slegato gli avrebbe fatto risparmiare tempo, così come salire i gradini due alla volta; per le chiavi, invece, non aveva antidoti: ci vollero tre tentativi prima di trovare quella giusta. L’idea delle scale, poi, non si rivelò brillante: la maggior fatica l’aveva fatto sudare e il tempo recuperato sulle rampe l’avrebbe speso in una doccia più lunga.
Si rassegnò ad essere in ritardo, si rassegnò ad impiegare il tempo necessario e si rassegnò ad aver di nuovo sbattuto contro uno scatolone prima di trovar l’interruttore.
-Hai intenzione di lasciarli in giro per un arredamento post-moderno?
La luce l’aveva accesa Marta uscendo dalla cucina con una tazza in mano.
-Devo trovare il tempo di sistemare; oggi intanto ho trovato lavoro.
-Per me nella tua stanza puoi pure tenerti le scatole per sempre; basta che quando ci arriveranno gli scarafaggi fai in modo che non girino per casa.
I numerosi piercing brillavano sul corpo seminudo di Marta.
-Non che questo posto splenda di pulizia.
-Puoi sempre lasciare il tuo nuovo lavoro e fare l’uomo delle pulizie a casa!
-Si certo! Inizio col pulire me stesso: faccio una doccia.
-Portati qualcosa di pesante, non c’è acqua calda.
-Come non c’è acqua calda? E io come faccio? Non posso fare la doccia con l’acqua fredda!
-Oddio! E’ proprio una tragedia se non puoi farti la doccia! Pensa cosa aspetta alla poverina che stanotte finirà a letto con te!
-Ti stai proponendo?
-Ti piacerebbe vero? Mi dispiace ma io faccio sesso solo con i puffi; sai, adoro il blu…
-Deve essere per questo che sei sempre insodisfatta…
La porta della stanza di Marta abbaiò rumorosamente, coprì l’ultima frase e la rinchiuse dentro.
Rifletté sulla possibilità di tornare dalla madre a fare la doccia: avrebbe significato ammettere che lo schifo dove aveva insistito per andare non aveva neanche l’acqua calda, mentre lo schifo da cui era fuggito non gliela aveva mai negata.
Decise: senza doccia non bisognava cambiarsi, senza cambiarsi non serviva rovistare negli scatoloni e senza rovistare negli scatoloni il ritardo si tramutava di colpo in anticipo.
Il male non viene sempre tutto per nuocere. A volte si presenta, ti stringe la mano e passa con te deliziosi momenti di sorriso. Pensi che i nomi siano solo nomi e che “Male” non è che una parola, sono i sorrisi a far la realtà. L’anticipo, però, si gestisce più difficilmente del ritardo. Cristoforo, solo e depresso sulla panchina davanti al pub, capì che il Male, anche sorridendo, non si lascia sfuggire mai l’occasione di far del male e che nessun nome è dato a caso.
Prima o poi i suoi amici sarebbero arrivati, tutti, anche Sara.
Sperava indossasse la maglietta viola e una gonna: era davvero eccitante con la gonna. Lui le sedeva di fronte mentre lei si strofinava a Mirko al ritmo d’una musica assordante. Molti bicchieri vuoti saltellavano sul tavolo. Si accarezzavano le gambe, lei gli mordeva l’orecchio; Cristoforo li fissava. La batteria martellava violenta. Si alzava di scatto, saliva in piedi sulla sedia poi sul tavolo. Abbassava le palpebre iniziando a girare lentamente su se stesso; la musica zittiva i pensieri, guidava i movimenti. Con gli occhi chiusi non poteva sapere che ognuno nel locale lo guardava e che molti lo imitavano. Si muoveva intensamente, girava, col corpo e la mente sciolti. Non era più solo sul tavolo; un profumo che conosceva. Gli occhi sempre serrati, continuava a muoversi con piccoli passi; con piccole carezze di mani femminili sulla pancia.
-Qui! Dovete guardare qui!
La libertà girava su un tavolo.
-Qui dentro questo schifo!
La libertà aveva gli occhi chiusi.
-E’ qui che stiamo tutti!
La libertà urlava da una bocca rivolta al cielo.
-Stiamo sempre qui!
La libertà carezzava il petto e baciava il collo.
-Noi stiamo sempre qui! Venite qui!
La libertà sgorgava d’uno scuro rosso di una tempia di vetri.

domenica 8 luglio 2007

l’urgenza

Quando lei disse “ho urgenza di te” lui pensò avesse qualcosa di importante da dirgli, un impegno imminente; pensò le servisse qualcosa, pensò ad un guaio.
Lei gli disse che aveva urgenza di lui per comunicargli quel bisogno insostenibile che fa sue le pareti dello stomaco e le contrae, le torce. La necessità totale di sentirlo, vederlo, toccarlo. Saperlo e respirarlo; per avere un po’ d’aria nei polmoni.
Lei gli disse che aveva urgenza di lui per comunicargli tutto ciò che non sapeva dire con altre parole.
Quando lei disse “ho urgenza di te” lui rispose “sono qui”, chiedendosi il motivo dell’insolita frase. Era di fronte a lei. Poteva sentirlo parlare, vederlo, allungare una mano e toccarlo. Quando rispose di essere lì, lo fece con estrema naturalezza; desideroso di rassicurarla dolcemente.
Quando lui rispose “sono qui” lei si sentì persa nel vuoto d’un baratro. Rispondere con tale freddezza mentre lei si era lasciata totalmente andare. L’aveva reso il suo bisogno, il suo fremito, il suo odore e glielo aveva detto. Si aspettava rispondesse con pari ardore. Si aspettava gli occhi lucidi, una dichiarazione densa come miele caldo; si aspettava di salire in macchina e partire insieme.
Quando lui rispose “sono qui” lei disse “qui dove?”

venerdì 29 giugno 2007

ho scritto di Sophie

Sophie era un finale. Un finale inaspettato, travolgente.
Sophie arrivò tardi, quando tutto era già finito. O forse era proprio quello il momento in cui voleva arrivare.
Quando arrivò Sophie, non fu più lo stesso. Portò domande e rimpianti e poi altre domande.
Sophie era un finale, ma un finale diverso da quello che provocò.
Io ho scritto di Sophie, spero che lei un giorno ricambierà.

venerdì 22 giugno 2007

ciò che non ho scritto

Spero ci sia un luogo. Un luogo ove giunga tutto ciò che non ho scritto. Spero un luogo impervio, ripugnante all’odore. Tutto ciò che mai scriverò. Che sia prigione e prigionia dura. Di marcire non c’è speranza che marcisce ciò che è vivo, non quel che vivo non è stato mai. Né io sarò più vivo un giorno e senza cappello inchinato alle nuvole, che per ciò che non ho scritto mi giudicheranno. Non per ciò che ho scritto, né per ciò che ho detto. Per ciò che non ho scritto e ciò che non ho detto.
Spero sia un luogo introvabile, impenetrabile finanche al pensiero. Maleficio su chi provi ad espugnarlo e maleficio sia su me se mai diedi sentore ad alcuno di poter accedervi. Che ciò che non ho scritto sono i miei errori, i difetti, lo stile, la talpa che ha scavato la mia strada. Spero sia un luogo fra i comignoli e le buche, sospeso, inesistente.
Per ciò che ho scritto non c’è assoluzione. Colpevole, colpevole, dannato all’eternità. E’ in ciò che non ho scritto, in ciò che non ho detto che sarò davvero libero, immortale, dannato solo per l’eternità dei ricordi. Chiedo soltanto preghiere, preghiere di tutti, affinché codesti ricordi muoiano presto. E spero sia un luogo con una ricca dispensa, dove la parte più vera di me possa nutrirsi di ciò che sempre le ho negato.

giovedì 7 giugno 2007

abbracci di abbracci

Mi chiedo cosa pensi un coniglio regalato alle cure di mani sconosciute. Se spera in una bella casa, se trema o pensa al passato. Se si chiede della storia della sua padrona, se ne riconosce l’esser speciale o se soltanto pensa al passato. Se ascolta sconnesse frasi, se vuole l’importanza che gli sarà data o se solo pensa al passato. E se costretto tra il seno e le braccia accetti quella stretta che disperde scorie d’affetto orfano.
Mi chiedo cosa siano le parole anonime. Se vogliono me o qualcun'altro, se vogliono davvero bene a chi le ha pronunciate. Se piangono quando nascono, come un abbraccio senza volto e senza dita delle mani. Senza stretta né contatto fisico, un abbraccio senza abbraccio che non abbraccia fino in fondo. Parole senza nome che non parlano fino in fondo e non amano neanche un po’.
Mi chiedo degli abbracci. Quelli veri. Della morbidezza che incontra il bene e la voglia. Del profumo, del contatto, dell’intreccio. Delle lente carezze che li esaltano, come lucidare con cura la pelle. Di quanto il tempo sia scandito da abbracci e di quanto questi siano sempre diversi, profumi che si attraversano e svaniscono. Il raggomitolarsi l’uno nell’altro e ciò che significa, ogni volta ciò che significa.
E poi mi chiedo delle “B” e delle “C”. Mi chiedo delle parole belle che più belle nessuno avrebbe potuto farle. Di quelle doppie lettere morbide che rendono la parola desiderabile, voluttuosa, agognata. Mi chiedo della felicità delle “B” quando iniziano la parola abbandonando al vuoto la propria abbondanza. E della realizzazione delle “C” che scelgono di concluderla circondando l'abbandonata abbondanza per colmare il proprio vuoto.

sabato 26 maggio 2007

vita da pirati

Avvertenza: questo è un post dalla forte identità maschilista; perciò, se pensate che tale impostazione possa disturbarvi o provocarvi allergie, vi consiglio di non andare avanti nella lettura.
Più in là magari mi farò perdonare con un post al femminile; però per il momento c’è questo e non dite che non vi avevo avvertito.

Avvertenza II: il post contiene una delle battute finali e più divertenti del terzo episodio di “Pirati dei Carabi”; perciò, se non volete rovinarvi la sorpresa, vi consiglio di fingervi femministi e tornare al precedente punto ”Avvertenza”.

Avvertenza III: io inizio col post.

Siamo più o meno dopo due ore e mezza di un film travolgente di azione e battute, quando la bella Elizabeth, dalla faccia spigolosa e sempre arrabbiata, si accinge a salutare.
Come nella più classica delle feste, tutti i pirati sono schierati in parata sul ponte della nave; una parola carina per tutti, finché non arriva a Jack, in fondo alla fila. Con lo sguardo penetrante e la solita espressione eroica gli dice:
- Non avrebbe funzionato tra di noi
E lui, sostenendo il suo sguardo:
- Continua a ripetertelo cara
Il film prosegue piacevole, ma io sono troppo impegnato a trattenere l’impulso di scattare in piedi sulla poltrona e applaudire, per godermi il finale.
Continua a ripetertelo cara!
Finalmente un uomo che se la tira più di una donna! Finalmente un uomo che sovverte il detto sulla forza trainante di un pelo, dimostrando che i peli li abbiamo pure noi e che anche i nostri se la possono battere con i carri di buoi!
Certo non è un caso che a permettersi tale frase sia il fascino di Jack Sparrow unito alla figaggine di Johnny Depp; ma non è questo il punto. Il punto è che se tra due persone deve conformarsi una volpe e un’uva, un ragazzo ha le stesse possibilità di essere uva di quante ne abbia la ragazza. Bisogna solo voler stare lassù, appesi ai tralci; bisogna solo creder sempre d’essere uva, come ogni femmina ha fatto fino a oggi.
E di donne se ne trovano in ogni porto, forse con qualche strato adiposo in più di Keira Knightley
o forse senza tutti quegli spigoli (e magari alla fine non è neppure uno svantaggio). Che si ponga lei il problema, perché neanche di uomini come me ce ne sono molti. Se ne accorgerà prima o poi e passeggiando sulla sua isola continuerà a ripetersi: “Non avrebbe funzionato tra di noi”.
Quella voglia di porsi infiniti problemi e trovare altrettante scuse; che niente può esser semplice, né sbagliato da parte loro, perché per mare esse non vanno. Là, dove una tempesta è solo una tempesta e tu devi superarla e dimenticarla.
Continua a ripetertelo cara, perché quando smetterai di farlo, ti accorgerai che la tempesta ce l’hai ancora davanti, mentre io sono oltre, mille miglia oltre. Vedrai la mia uva ancora più in alto, perché ho accettato le cose e ho continuato a crescere.
Tu continua a ripetertelo cara, giacché l’occasione è ormai passata e l’hai lasciata andare. Hai scelto di lasciarla andare; lo hai scelto liberamente, senza avere alcuna prova che tra noi non avrebbe funzionato.
Che io sono un pirata, un uomo, un pirata; e per mare ci vado e col mare non fingo e nel mare io rischio, ad ogni soffio di vento.

venerdì 18 maggio 2007

sarà la primavera

Un periodo strano, sono sempre stanco, mi fanno male tutti i muscoli, mi sento a pezzi.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
La notte riposo male, più ore dormo e più mi sveglio spossato, assolutamente distrutto.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
Ho tanti impegni ma non riesco a concentrarmi su niente, vengo sballottato qua e là tra le cose da fare.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
L’altra sera giocando a calcetto ho preso una storta al collo ed una alla caviglia.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
In questi giorni ci sono un sacco di incidenti per strada che bloccano il traffico.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
Ti guardi intorno e spuntano ovunque pance di ragazze incinta.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
Stamattina entro nella doccia ma non c’è l’acqua calda, esco per sbloccare la caldaia e cado, per evitarmi di sbattere a terra, quel caro sanitario del bidè, si sposta sulla mia traiettoria, fermandomi la caduta con il suo rubinetto sul mio zigomo.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
L’effetto serra, il buco dell’ozono, lo scioglimento dei ghiaccia e il disboscamento delle foreste.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
Bruno Vespa assomiglia sempre più agli avvoltoi del “libro della giungla”, solo che è molto meno simpatico e decisamente più pelato.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
Attendi decine e decine di giorni una risposta che non arriva mai e nel frattempo, inaspettate, arrivano decine e decine di domande alle quali non vuoi dare una risposta.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
Ho talmente voglia di pizza che se partorissi ora un bambino nascerebbe tondo.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
Non sopporto i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz punk inglese, neanche la nera africana.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
Avverto la fastidiosa sensazione di essere prigioniero in una gabbia da me stesso costruita, sono certo di aver previsto anche un punto debole per uscirne, però ho dimenticato quale sia.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.
Devo ancora capire se delle fragole con la panna mi piacciono più le fragole o mi piace più la panna.
Sarà il cambio di stagione, sarà la primavera.

sabato 12 maggio 2007

the normal family day

Tutti in piazza, perché no! Tutti in piazza per la famiglia! Per celebrarla, esaltarla, glorificarla…
Che c’è famiglia e famiglia si sa. Non si scende in piazza per ogni famiglia, si scende in piazza per la famiglia normale. The normal family day.
La famiglia normale si riconosce al tatto, si riconosce dall’odore; in ogni aspetto essa manifesta la propria integra superiorità ed è solo per lei che si può scendere in piazza.
La famiglia normale; quella con i figli biondi e gli occhi chiari e i capelli a caschetto. La famiglia della mamme cicciotelle con il grembiule pulito; dei papà che tornano la sera e guardano il telegiornale, delle pastarelle la domenica e delle vacanze al mare. La normale famiglia di casalinghe sorridenti davanti al televisore piatto, di calzini rammendati e del sesso con parsimonia; la famiglia del mulino bianco con i vestiti pronti sul letto e le cravatte sempre nuove. La famiglia normale con in tavola il pollo, quella con le luci sempre accese e col bacio della buonanotte; con le telefonate di controllo e i parenti che non fanno a botte.
E di litigi non più di quattro l’anno, di parolacce nemmeno l’ombra, di pianti uno al giorno. E le percosse, i tradimenti, i vizi; le bollette non riscosse, le rate e l’ozio.
La famiglia normale non lo fa, la famiglia normale non ci sta.
Accorriamo in piazza a gridarlo; in piazza a manifestarlo. Che di normalità c’è bisogno, che di familiarità c’è bisogno. Che di pastarelle c’è bisogno. Che di mulino bianco c’è bisogno. Che di grembiuli puliti c’è bisogno. Che di calzini rammendati c’è bisogno. Che di cravatte nuove c’è bisogno. Che di capelli a caschetto c’è bisogno e di pollo a tavola c’è bisogno. Che dei parenti c’è bisogno. Che del telegiornale c’è bisogno e delle telefonate di controllo. Che di luci sempre accese c’è bisogno. Che di vacanze al mare c’è bisogno. Che della buonanotte c’è bisogno e d’una manifestazione c’è davvero bisogno.

mercoledì 9 maggio 2007

la svolta rock

Io son tornato. Non l’ho detto ufficialmente ma son tornato. Era semplice accorgersene. Produttivo, rilassato; le ferie fanno stare bene ma velocizzano i tempi in cui si tornerà a star male e acuiscono il dolore, anzi no, acuiscono lo sconforto che si ha perché si prova dolore.
E la svolta rock è una donna ma anche no. E’ un sorriso coinvolgente, talmente intenso da far venir le bolle. E’ l’incontro che non ti aspetti e le vacanze mai terminate.
Io son tornato ma non ci sono già più.
Carina Parma; morbida, familiare e sorprendente quando cominci a conoscerla. Certo la fase della conoscenza è un po’ delicata. E’ sempre un po’ delicata.
Ma ben vengano le fasi delicate, quelle in cui la testa deve essere sempre al massimo, concentrata a solcare i giorni per inciderli con quel nostro inconfondibile sapore.
E la svolta rock è il vento nei capelli appena tagliati, il sole che sgomita con le nuvole e tu non le vedi perché c’è luce oggi, sempre meno di quanta ce ne sarà domani. E’ il cane che tira e il braccio non soffre, non sente, impegnato com’è a dar emozionata mostra di se.
I viaggi non mancheranno più. Si deve partire per esserci davvero, si deve partire per ritornare. Anche per scrivere si deve partire, per scovare le parole nascoste tra le pietre di altre città e sfumare di odori diversi i propri racconti.
La svolta rock è il sogno che d’improvviso ritorna incurante dell’ora. Che sia di panna lo sai ma non temi si sciolga, lo gusti e ci provi finché sta da te.

mercoledì 2 maggio 2007

mail ad una amica

Probabilmente non credevi l’avrei fatto davvero. E non lo credevo neanche io.
Lontani si sta solo se lontani si vuol stare.
Io non voglio star lontano da te; né quando lontani siamo davvero, né quando lontani non siamo.
Che ciò che voglio sia troppo spesso diverso da ciò che faccio è una realtà innegabile. Così come è innegabile che è della realtà che dobbiamo rendere conto. Ma per un attimo, per un solo momento, fingiamo che non solo dalla realtà saremo osservati. Stringiamo gli occhi e crediamo che ogni nostro filamento faccia vibrare l’aria e che ogni vibrazione arrivi là dove deve arrivare. E non esiste lettera, non esiste lettera, non esiste lettera che tutto questo possa dire.
E non esiste lettera, non esiste neanche questa lettera che lettera non si chiamerà. Non esiste lettera perché nessuna lettera ti arriverà. Ma non ce ne sarà bisogno se sei ancora con gli occhi stretti, perché allora tu saprai, come sai, che è per te che ho scritto. E non solo. E’ per te che ho pensato, che mi sono emozionato e molto dispiaciuto. E’ per te che ho vibrato infinite volte da lontani anni.
E’ per te che ho scritto ma questo è davvero marginale, così ho scritto su un muro perché si possa dimenticare ma mai cancellare e con l’aiuto di tanti lettori che di me la tua aria continui a vibrare.

venerdì 20 aprile 2007

parto

Bè ma io lo faccio per voi. Per voi, non per me.
Lo faccio in modo tale possiate avere il tempo di leggervi tutte le parole con cui ho inondato questo aprile bloggistico.
Così da darvi il tempo di assaporare l'infinita saggezza della quale ho fatto dono al mondo e contribuire con i vostri commenti affinchè questa saggezza fermenti e lieviti a dismisura, ostruendo anche l'entrata di questo blog.
Io lo faccio per voi. Non è che mi interessi fuggire, vedere posti nuovi, riposarmi, scrivere in tranquillità, conoscere persone nuove, guidare per ore, mangiare leccornie, non avere vincoli e altre pinzillacchere del genere. Come potrebbe tutto ciò esercitare del fascino sul sottoscritto?
No, io lo faccio solo per voi. Per avere un pò di materiale nuovo da condividere e smettere di ammorbarvi con i soliti deliri.

espiato

Ho espiato. Ad occhio e croce dovrei aver espiato i miei peccati. Un post al giorno per una settimana: dovremmo esserci.
Ora si che mi sento più libero, più leggero; anche più divertito se penso alle facce di quelli che si son sorbiti un delirio al giorno per una settimana.
Non che i dubbi siano passati. E' stato anche piacevole costringersi ad aggiornare il sito, però mi chiedevo cosa sarà dei peccati che ho commesso mentre espiavo i miei peccati.
Cioè, io ho dovuto scrivere un post al giorno perchè ho confessato di aver trascurato il blog, ma se mentre mi impegnavo sulla penitenza avessi commesso qualche altra mancanza? Per esempio la mancanza di qualsivoglia immagine per ognuno dei post giornalieri...
Forse dovrei riconfessarmi e sottopormi di nuovo al giusto castigo, o forse aspettare un pò e ripresentarmi all'inginocchiatoio con la sporta piena, o forse bandire un concorso per scegliere un nuovo confessore di blog diverso da me stesso...

giovedì 19 aprile 2007

ping-pong

Battuta, lifatata, angolata, corta. Ping. Dritto di emergenza dentro il campo e corpo che torna centrale, in attesa. Pong. Rovescio lifato, palla dalla parte opposta del campo, passo indietro. Ping. Dritto potente e centrale, rimbalzo lungo. Pong. Colpo smorzato, rovescio centrale, sotto rete. Ping. Addome sul tavolo, racchetta più sotto che sopra, palla altrettanto corta. Pong. Dritto lento sul lato più corto, allo spigolo. Ping. Dritto potente e chiuso con forza, troppo chiuso. Net.

mercoledì 18 aprile 2007

una giornataccia

Deve essere Plutone in trigono con Marte che è in asse con Giove che attende l'arrivo di Ulisse che si è fermato a giocare a Briscola con Prometeo mentre la Luna ruota su se stessa per nascondere i crateri come si fa coi brufoli e per questo le maree si alzano, i morali si abbassano e la borsa chiude zero a zero.
Deve essere il grande carro che ha preso su dei passaggeri e sorpassa il carrettino creando una congiunzione tra Venere e Pompei e una preposizione articolata tra Saturno e la regina Elisabetta che gli ha fregato tutti gli anelli come era scritto nelle stelle dalla mano sinistra di Maradona.
E non è ancora finita.

martedì 17 aprile 2007

la linea sottile della follia

Mi piace pensare che tu mi pensi come ti penso io, che il tempo all'apparenza infinito che ci vedrà divisi sia l'espressione del tutto che ci lega e che divisi noi non siamo stati mai.

lunedì 16 aprile 2007

io ho più sonno di tutti

Io sono debole. Sono proprio debole. Quando ho sonno, io ho più sonno di tutti. La mente si adagia su un soffice letto di ovatta e da lì prova a contiuare il suo lavoro, ma affonda e affonda e tutto riesce peggio. Non è che riesco a pensare che la maggior parte delle persone dormono meno di me e sono più attive. No, io ho più sonno di tutti e devo dormire. Devo dormire perchè devo essere sempre in condizione di rendere al massimo. Devo essere in condizione di rendere al massimo perchè sennò non mi diverto. Devo divertirmi perchè altrimenti non saprei dare un senso alla vita. Devo dare un senso alla vita perchè in caso contrario tanto varrebbe... Ecco, devo dormire perchè quando ho sonno divento troppo fragile e pessimista.

domenica 15 aprile 2007

sale, pepe e altre spezie

Stavolta è finita. Non l'ho mai pensato con tanta sicurezza. Anche se, naturalmente, questa mattina lo pensavo con più forza di questa sera.
C'è l'aneddoto del caffè.
DaI terzo giorno, quando le energie sono ormai solo sprazzi e ricordi di vite che sembrano lontane, il caffè è il momento in cui tutto ti si chiarisce.
E' mattina presto, presto che il freddo della notte ancora aleggia su quel giorno di fine estate e il vero dormire è un'ipotesi che non sperimenti da giorni e ancora sarà così.
Le gambe dure di scale scendono il risvegliarsi di voci ancora sopportabili che barcollano e latitano in preparativi confusi. Ne avranno ancora per un pò, si pensa scendendo in cucina con la felpa sul mento e le guance coperte dalle lenti scure.
E quando un sorriso ti accoglie e ti mette in mano il caffè, pensi che il mondo abbia ancora colori e il calore che dalle mani strette al bicchiere si spande al petto.
L'aria densa di freddo sveglia il cielo che comincia ad aprirsi d'azzurro e i primi passi si avvicinano. All'inizio son silenzi, son baci e abbracci e il tempo ancora passa sul momento più bello.
Poi tutto trascende, inizia e quindi finisce e anche il caffè che ancora oscilla tra le mani capisce che il primo problema sta per bussare ai tuoi occhi.

sabato 14 aprile 2007

le parole più belle

Allora? Che ne pensate? Vi piace? Non è fantastica la mia nuova tastiera? Non scrive molto più bello? Non trovate che le lettere e le parole si compongano in maniera più armoniosa? Non sembra anche a voi che non abbia mi scritto così bene? (e anche così lentamente visto che con questi tasti di forma diversa non mi ritrovo per niente)
Dovreste vederla: lucida, altera, spaziale... Sembra il Millenium Falcon e io il suo Ciubecca alla guida. C'è scritto anche sulla scatola: è atterrata da me col preciso intento di rapirmi e portarmi lontano, per scrivere insieme a lei le parole più belle.

venerdì 13 aprile 2007

graffiti

Inizio la mia penitenza, tornando a scrivere sul blog libero da ogni ansia. Si, quei pensieri per cui cerchi l'idea, l'ispirazione, la foto, il pezzo che meriti di essere postato. Riprendo a scrivere senza brutte copie e infinite riletture, ricercando lo spirito che in quella famosa sera diede vita al blog: così, un pò per caso. E finche dura, si sa, farà verdura.
Potrei dilungarmi sui benifici che offre la verdura, oppure sulle polpette che sto testè mangiando; ma non lo farò.
Parlerò invece di graffiti. Già da un pò mi frulla in testa un'idea balenata durante una doccia di qualche tempo fa (chi mi conosce un minimo sa che le mie migliori idee le partorisco in bagno). Pensavo di far diventare il blog la mia grotta. Si, la grotta in cui mi rinchiudo e vivo la maggior parte della mia vita; e i post possono diventare i graffiti sul muro che forse spariranno domani o forse resisteranno alle ere glaciali; e poi appunti sparsi, fogli, pensieri, immagini: tutto un caos di cose, così com'è in realtà nella mia stanza, nella mia testa, nella mia pancia, nella mia grotta.

giovedì 12 aprile 2007

un post al giorno

Vai figliolo e cerca di non peccare più.
Per penitenza scrivi un post al giorno per una settimana.
Spero che questo ti aiuti a tornare sulla retta via.

ho peccato

Perdonate i miei peccati.
Ho peccato prima di Pasqua e anche subito dopo.
Non aggiorno il blog da tanto, troppo tempo.
Ho peccato perchè l'ho trascurato, perchè quando mi chiamava non rispondevo, quando cercava di svegliarmi la notte mi giravo dall'altra parte e quando mi faceva avvertire da qualcun'altro lo prendevo in giro.
Non è che non lo amo più ma ho anch'io bisogno dei miei spazi! Non posso stare sempre con lui e dirgli sempre tutto! Ma io lo penso, lo penso come la prima volta!
E lui dov'è quando io ho bisogno di lui?
So di avere peccato e la cosa peggiore è che non sono sicuro di riuscire a non farlo più.

martedì 27 marzo 2007

giovedì 15 marzo 2007

unpoperuno

Ho il mio pubblico! Indiscutibilmente ho un mio pubblico! Un pubblico che brama come assetato nel deserto, ciò che le penne scelgono di comporre mentre son tra le mie mani.
Sono felice del mio pubblico, son tanti e li conosco uno per uno; così come conosco ognuna delle mie penne. Anche loro sono tante, e ognuna scrive qualcosa di diverso nei tempi liberi delle mie giornate.
Purtroppo ho solo una mano che sappia scrivere e per quanto riguarda i tempi liberi... bè questo è il male del secolo.
Non vi è logica soluzione a una tal disturbazione…
E’ necessario aver pazienza. Oggi si lavora ad un progetto, tra qualche giorno a un altro, poi a un altro ancora; tutti figli della stessa mano e della stessa mente.
Certo, chi non vorrebbe poter scrivere un lungo post al giorno, una perfetta relazione a settimana e un bel romanzo al mese?
Un modo forse ci sarebbe. Se il mio amato pubblico davvero ci tenesse, potrebbe organizzare una bella colletta e adibirla a formare un congruo stipendio mensile da devolvere al proprio scrittore preferito…

martedì 6 marzo 2007

la fiducia

Fiducia, anni di cazzate, e d’amicizia ci si sazia, di corrimano sotto il culo, di pizza il pomeriggio, fiducia, e il tempo rotola, che cresce e cresce, che si spezza, e poi torna, vena d’oro mai esaurita, fiducia, strato di crema, nell’amore che d’amore si fida, di sesso che sempre più sesso chiede, per ogni coppia che si cerca, per ogni coppia che sia coppia, e se fiducia si rifugge, s’annega di timore, che di fiducia anche si muore. E di fede, più forte, più cieca, dolore se perduta, voragine di parole, e tutti dentro, pozione insapore, nel Paese aggrappato, fiducia, nel Paese aggrappato, ci si chiede fiducia, a cosa, a chi, nel Paese aggrappato, ognuno più lo sa, forse sesso che sempre più sesso chiede, tra uomini e uomini, nel Paese aggrappato, a uomini e uomini. Fiducia, e sette lettere, per sesso che altro sesso più non chiede, cinque lettere, nel Paese aggrappato, non ricorda fiducia, e non ricorda gli albori, e gli amori, gli occhiali bagnati, e i sorrisi spontanei, con le mani nelle mani, di parole in parole, di fiducia s’abusa, di parole in parole, e i responsabili non ci sono, responsabili non ce ne sono, responsabili ormai più ci sono.

giovedì 1 marzo 2007

alle spalle

Lasciamoci alle spalle questo Febbraio corto, freddino, piovoso, grigio… un Febbraio di pochi post e troppi pasti…sbagliati; di ansie e ricordi ingombranti… un Febbraio di tante spese e poche soddisfazioni; di tante parole e poche pagine importanti… un Febbraio di ferite riaperte e solitudine; un Febbraio di troppe cose da fare e poca voglia di farle…o la voglia sbagliata…
Tutto alle spalle! Che Marzo inizi con un bel post inutile! Se il buongiorno si vede dal mattino, si preannuncia un mese produttivo e delirante, nella migliore tradizione del blog… un inizio di ritorni; non proprio quelli sperati, ma ci si deve pur accontentare…mi mancava più del previsto questo posto di lavoro… il previsto però, era zero; immagino ci volesse poco a far di più…

lunedì 26 febbraio 2007

the end

Anche le saghe finiscono.
Mi dispiace per i milioni di fan di “Pene d’Amore” ma il quarto capitolo è stato l’ultimo della serie.
Già vedo gli occhi di ognuno di voi lucidi al pensiero di perder per sempre colei che in breve tempo si è innalzata a Donna per eccellenza. Ma alla tristezza per l’addio di Griselda rispondete che tutte le più grandi serie sono finite un giorno: è finito Happy Days, Guerre Stellari, Kiss me Licia, I Puffi, L’E-Team; perfino Mc Gyver ad un certo punto non sapeva più cosa costruire con un rotolo di carta igienica, due tagliaunghie e un tubetto di crema depilatoria.
L’unica eccezione è Beautiful. Si narra addirittura che Dio abbia creato il mondo in sei giorni perché sette puntate consecutive sulla stessa videocassetta non Gli entravano e che, ispirato da Ridge, sia stato indeciso fino all’ultimo se creare la donna da una costola di Adamo o dalla sua mascella.
Ma d’eccezione ce n’è solo una; le saghe finiscono e Pene d’Amore non sarà da meno.
Oh, non preoccupatevi per il blog: non ne risentirà. Sono le serie a dover concludersi; questo blog non è una saga, è una cosa diversa, estemporanea, improvvisa come un attacco di diarrea che ti prende e…
…ops…
…scusate...
...devo scappare…

sabato 10 febbraio 2007

pene d’amore 4

Ciao Cangurotto,
ti prego, non stracciare subito questa lettera, non bruciarla, non fumartela, non pulirtici le evacuazioni: leggila almeno fino in fondo.
E’ tutto così difficile, confuso e indecifrabile, ma se è vero che nei momenti di difficoltà bisogna farsi guidare dal cuore verso ciò a cui veramente teniamo; bè, il mio cuore mi ha riportato a te. Non ha mai smesso di riportarmi a te.
Forse il cammino per capirlo è stato più tormentato di quanto avrebbe dovuto, conducendomi in altre macchine, in altri pensieri, in altri letti, in altri boschetti, su altre bocche, su altri tavoli, su altre lavatrici, in altri sorrisi, in altri terrazzi. Tutto ciò però, mi è servito a capire quel che voglio.
Io voglio te. Il tuo corpo stretto al mio; sentirti soffrire di gran pene d’amore e poter alleviare quella sensazione in un’infinita notte di pacci-pacci-pum-pum.
Ho a lungo pensato a come potevo tornare da te; ogni idea mi sembrava banale: volevo un gesto grande, indimenticabile, romantico. Portarti una ruota panoramica davanti casa e salirci insieme, sussurrandoti all’orecchio che qualsiasi giro avesse preso la nostra vita, d’ora in avanti l’avremmo affrontato insieme; poi, mentre la ruota ci portava su, nel punto più alto, dirti che tutto il mondo era nostro, mio e tuo, come in quel momento.
Credo la tua via sia troppo stretta per farci entrare una ruota panoramica e, poiché nessun’altra idea mi sembrava abbastanza per dimostrarti ciò che provo, ho deciso di affidare le mie speranze a questa lettera.
Tremo perché basti per farti tornare da me.
Io da te son già tornata e ti aspetterò con fiducia. Tra pochi giorni sarà la nostra notte, ricordi? Io sarò là, al nostro posto, ad aspettarti, sperando, d’improvviso, di vederti comparire in quel vento freddo.

con amore

Griselda

lunedì 5 febbraio 2007

carnevale 2007: Spugna

“hic.. a me mi piace essere Spugna.. Dente Duro Occhio Mozzo e Piedi Storti possono dire quello che vogliono… a me mi piace essere Spugna… hic… e andare di qua e di là come il Rhum in una bottiglia che traballa… mi dà libertà essere Spugna… hic… nessuno fa troppo affidamento su di me nessuno mi prende troppo sul serio nessuno si aspetta niente da me… e io li frego tutti… hic… nessuno crede in me e io li frego tutti… hic… sono il secondo del capitano… è a me che affida gli incarichi più importanti… hic… sono io che decido quando lui non c’è… hic… lui c’è sempre naturalmente ma non mi importa perché a me non mi piace decidere… a me piace bere… hic… e se non devo decidere posso bere di più… hic… la cosa più bella di essere Spugna è che posso dire quel che mi va… hic… posso abbordare una ragazza e farle una dichiarazione d’amore che lei ride e se ne va… oppure posso insultarla e lei ride e se ne va uguale… hic… posso fare quel che mi va... certo sempre senza offendere nessuno… hic… sono un pirata che ci tiene ad essere gentile io… sono un gentilpirata… hic… non me ne frega niente di Peter Pan di Fate di Sirene neanche del capitano se non fosse il mio capitano… ma è il mio capitano e allora mi interessa… hic… è il mio capitano che mi permette d’andar per mare… e che compra il Rhum… hic… a me serve il Rhum… e mi serve anche il mare… hic… sono bravo a bere… e sono anche un bravo pirata… hic… e sono troppo vecchio per imparare a fare qualcos’altro… hic… e poi la sapete una cosa... a me mi piace proprio tanto essere Spugna… hic…"

il poliziotto e la ragazza

Il mio cane non abbaia. Per fortuna.
Anche per oggi ho evitato due dozzine di coltellate. Sarà per la prossima volta.
Dicono che la sfera abbia dei vantaggi: una pallonata non ti infilza, rotola facilmente, troppo facilmente. Far rotolare una palla prendendola a calci è cosa troppo facile, possono farlo tutti, come far figli. E’ talmente facile e piacevole che vien dato per scontato sia una buona cosa.
Il calcio non è una cosa buona; questo calcio è un problema.
I figli non sono una cosa buona, né cattiva: sono persone.
Le morti durante le partite non sono colpa del calcio, così come Tamara non è morta per colpa dei cani. L’ispettore e la ragazza hanno lo stesso assassino, anche se i loro funerali avranno risonanza molto diversa.
E’ che è tutto troppo, troppo facile; facile e incontrollato, incontrollabile in questo stato di cose.
Il mio cane non abbaia. Però il mio criceto squittisce ogni tanto. Speriamo bene.

domenica 28 gennaio 2007

la profanazione del tempio

Ho tentato di non farlo, l’ho tenuto dentro per mesi; alla fine ho ceduto e ho profanato il tempio.
Harry Potter sembrava l’ultimo dogma per milioni di fedeli in attesa del verbo della sacerdotessa Rowling; eppure ho ceduto e ho profanato il tempio.
Iniziò tutto molto tempo fa, in una galassia lontana, con le parole d’una persona speciale:
-Stanotte ho sognato di rileggere il principe mezzosangue. Non riuscivo a resistere senza sapere come continuava e ho pensato ‘Domani chiamo Daniele e mi faccio dire come finisce!’-
E la follia è stata germe nel petto, cresciuta come l’amore che l’aveva generata.
La storia ha scelto di nascere, da mamma inglese, certo, ma ha comunque scelto di nascere e la madre di partorirla. Ora la storia è nel mondo ed è sua quanto nostra, di chiunque ne incroci il passo.
Ci ha emozionato, non può più chiederci di non viverla fino in fondo.
Io potevo, me l’avevano predetto! Io avevo le possibilità per farlo e questa era una responsabilità. Finire la storia; concluderla così, come la storia voleva essere conclusa da me: protagonisti attivi d’ogni cosa a cui teniamo!
Immutata l’attesa per le sorti di Harry; in me, però, qualcosa era già successo ed è così che ho profanato il tempio.