venerdì 29 giugno 2007

ho scritto di Sophie

Sophie era un finale. Un finale inaspettato, travolgente.
Sophie arrivò tardi, quando tutto era già finito. O forse era proprio quello il momento in cui voleva arrivare.
Quando arrivò Sophie, non fu più lo stesso. Portò domande e rimpianti e poi altre domande.
Sophie era un finale, ma un finale diverso da quello che provocò.
Io ho scritto di Sophie, spero che lei un giorno ricambierà.

venerdì 22 giugno 2007

ciò che non ho scritto

Spero ci sia un luogo. Un luogo ove giunga tutto ciò che non ho scritto. Spero un luogo impervio, ripugnante all’odore. Tutto ciò che mai scriverò. Che sia prigione e prigionia dura. Di marcire non c’è speranza che marcisce ciò che è vivo, non quel che vivo non è stato mai. Né io sarò più vivo un giorno e senza cappello inchinato alle nuvole, che per ciò che non ho scritto mi giudicheranno. Non per ciò che ho scritto, né per ciò che ho detto. Per ciò che non ho scritto e ciò che non ho detto.
Spero sia un luogo introvabile, impenetrabile finanche al pensiero. Maleficio su chi provi ad espugnarlo e maleficio sia su me se mai diedi sentore ad alcuno di poter accedervi. Che ciò che non ho scritto sono i miei errori, i difetti, lo stile, la talpa che ha scavato la mia strada. Spero sia un luogo fra i comignoli e le buche, sospeso, inesistente.
Per ciò che ho scritto non c’è assoluzione. Colpevole, colpevole, dannato all’eternità. E’ in ciò che non ho scritto, in ciò che non ho detto che sarò davvero libero, immortale, dannato solo per l’eternità dei ricordi. Chiedo soltanto preghiere, preghiere di tutti, affinché codesti ricordi muoiano presto. E spero sia un luogo con una ricca dispensa, dove la parte più vera di me possa nutrirsi di ciò che sempre le ho negato.

giovedì 7 giugno 2007

abbracci di abbracci

Mi chiedo cosa pensi un coniglio regalato alle cure di mani sconosciute. Se spera in una bella casa, se trema o pensa al passato. Se si chiede della storia della sua padrona, se ne riconosce l’esser speciale o se soltanto pensa al passato. Se ascolta sconnesse frasi, se vuole l’importanza che gli sarà data o se solo pensa al passato. E se costretto tra il seno e le braccia accetti quella stretta che disperde scorie d’affetto orfano.
Mi chiedo cosa siano le parole anonime. Se vogliono me o qualcun'altro, se vogliono davvero bene a chi le ha pronunciate. Se piangono quando nascono, come un abbraccio senza volto e senza dita delle mani. Senza stretta né contatto fisico, un abbraccio senza abbraccio che non abbraccia fino in fondo. Parole senza nome che non parlano fino in fondo e non amano neanche un po’.
Mi chiedo degli abbracci. Quelli veri. Della morbidezza che incontra il bene e la voglia. Del profumo, del contatto, dell’intreccio. Delle lente carezze che li esaltano, come lucidare con cura la pelle. Di quanto il tempo sia scandito da abbracci e di quanto questi siano sempre diversi, profumi che si attraversano e svaniscono. Il raggomitolarsi l’uno nell’altro e ciò che significa, ogni volta ciò che significa.
E poi mi chiedo delle “B” e delle “C”. Mi chiedo delle parole belle che più belle nessuno avrebbe potuto farle. Di quelle doppie lettere morbide che rendono la parola desiderabile, voluttuosa, agognata. Mi chiedo della felicità delle “B” quando iniziano la parola abbandonando al vuoto la propria abbondanza. E della realizzazione delle “C” che scelgono di concluderla circondando l'abbandonata abbondanza per colmare il proprio vuoto.