martedì 17 luglio 2007

Santi d’un cielo lontano

-Ho affittato una stanza, ho bisogno di soldi per le spese.
-Il costo dell’indipendenza!
-Già.
-Hai un mezzo di trasporto Cristoforo?
-Si, ho il motorino.
-Bene, facciamo così: domattina vieni alle otto e i ragazzi ti spiegano i dettagli. Rimani un mesetto in prova, poi decidiamo insieme. Che ne dici? Per il momento ti do cinque euro a consegna.
-Ok, per me va bene!
-Perfetto! Buona serata allora! Ci vediamo domani.
-Buona serata anche a lei signor Leone. A domani.
La mano del suo nuovo principale era tozza, sudata, con una molle stretta caramellosa che rese viscida anche la mano di Cristoforo. Faticava a tenere il manubrio; accelerava con due dita, sperando che l’aria fresca asciugasse l’umidiccia sensazione.
Il buio si prometteva completo da lì a pochi minuti; qualsiasi orologio guardasse non faceva che confermare la più consueta delle verità: era in ritardo.
Doveva ancora tornare a casa, sistemare il motorino, salire quattro piani di scale e indovinare la giusta chiave del nuovo appartamento. Trovare l’interruttore della luce, fare una doccia, rovistare tra gli scatoloni ancora intatti e cavarne vestiti puliti; poi rifare il percorso inverso e andare all’appuntamento con gli amici.
Pensò che lasciare il motorino slegato gli avrebbe fatto risparmiare tempo, così come salire i gradini due alla volta; per le chiavi, invece, non aveva antidoti: ci vollero tre tentativi prima di trovare quella giusta. L’idea delle scale, poi, non si rivelò brillante: la maggior fatica l’aveva fatto sudare e il tempo recuperato sulle rampe l’avrebbe speso in una doccia più lunga.
Si rassegnò ad essere in ritardo, si rassegnò ad impiegare il tempo necessario e si rassegnò ad aver di nuovo sbattuto contro uno scatolone prima di trovar l’interruttore.
-Hai intenzione di lasciarli in giro per un arredamento post-moderno?
La luce l’aveva accesa Marta uscendo dalla cucina con una tazza in mano.
-Devo trovare il tempo di sistemare; oggi intanto ho trovato lavoro.
-Per me nella tua stanza puoi pure tenerti le scatole per sempre; basta che quando ci arriveranno gli scarafaggi fai in modo che non girino per casa.
I numerosi piercing brillavano sul corpo seminudo di Marta.
-Non che questo posto splenda di pulizia.
-Puoi sempre lasciare il tuo nuovo lavoro e fare l’uomo delle pulizie a casa!
-Si certo! Inizio col pulire me stesso: faccio una doccia.
-Portati qualcosa di pesante, non c’è acqua calda.
-Come non c’è acqua calda? E io come faccio? Non posso fare la doccia con l’acqua fredda!
-Oddio! E’ proprio una tragedia se non puoi farti la doccia! Pensa cosa aspetta alla poverina che stanotte finirà a letto con te!
-Ti stai proponendo?
-Ti piacerebbe vero? Mi dispiace ma io faccio sesso solo con i puffi; sai, adoro il blu…
-Deve essere per questo che sei sempre insodisfatta…
La porta della stanza di Marta abbaiò rumorosamente, coprì l’ultima frase e la rinchiuse dentro.
Rifletté sulla possibilità di tornare dalla madre a fare la doccia: avrebbe significato ammettere che lo schifo dove aveva insistito per andare non aveva neanche l’acqua calda, mentre lo schifo da cui era fuggito non gliela aveva mai negata.
Decise: senza doccia non bisognava cambiarsi, senza cambiarsi non serviva rovistare negli scatoloni e senza rovistare negli scatoloni il ritardo si tramutava di colpo in anticipo.
Il male non viene sempre tutto per nuocere. A volte si presenta, ti stringe la mano e passa con te deliziosi momenti di sorriso. Pensi che i nomi siano solo nomi e che “Male” non è che una parola, sono i sorrisi a far la realtà. L’anticipo, però, si gestisce più difficilmente del ritardo. Cristoforo, solo e depresso sulla panchina davanti al pub, capì che il Male, anche sorridendo, non si lascia sfuggire mai l’occasione di far del male e che nessun nome è dato a caso.
Prima o poi i suoi amici sarebbero arrivati, tutti, anche Sara.
Sperava indossasse la maglietta viola e una gonna: era davvero eccitante con la gonna. Lui le sedeva di fronte mentre lei si strofinava a Mirko al ritmo d’una musica assordante. Molti bicchieri vuoti saltellavano sul tavolo. Si accarezzavano le gambe, lei gli mordeva l’orecchio; Cristoforo li fissava. La batteria martellava violenta. Si alzava di scatto, saliva in piedi sulla sedia poi sul tavolo. Abbassava le palpebre iniziando a girare lentamente su se stesso; la musica zittiva i pensieri, guidava i movimenti. Con gli occhi chiusi non poteva sapere che ognuno nel locale lo guardava e che molti lo imitavano. Si muoveva intensamente, girava, col corpo e la mente sciolti. Non era più solo sul tavolo; un profumo che conosceva. Gli occhi sempre serrati, continuava a muoversi con piccoli passi; con piccole carezze di mani femminili sulla pancia.
-Qui! Dovete guardare qui!
La libertà girava su un tavolo.
-Qui dentro questo schifo!
La libertà aveva gli occhi chiusi.
-E’ qui che stiamo tutti!
La libertà urlava da una bocca rivolta al cielo.
-Stiamo sempre qui!
La libertà carezzava il petto e baciava il collo.
-Noi stiamo sempre qui! Venite qui!
La libertà sgorgava d’uno scuro rosso di una tempia di vetri.

domenica 8 luglio 2007

l’urgenza

Quando lei disse “ho urgenza di te” lui pensò avesse qualcosa di importante da dirgli, un impegno imminente; pensò le servisse qualcosa, pensò ad un guaio.
Lei gli disse che aveva urgenza di lui per comunicargli quel bisogno insostenibile che fa sue le pareti dello stomaco e le contrae, le torce. La necessità totale di sentirlo, vederlo, toccarlo. Saperlo e respirarlo; per avere un po’ d’aria nei polmoni.
Lei gli disse che aveva urgenza di lui per comunicargli tutto ciò che non sapeva dire con altre parole.
Quando lei disse “ho urgenza di te” lui rispose “sono qui”, chiedendosi il motivo dell’insolita frase. Era di fronte a lei. Poteva sentirlo parlare, vederlo, allungare una mano e toccarlo. Quando rispose di essere lì, lo fece con estrema naturalezza; desideroso di rassicurarla dolcemente.
Quando lui rispose “sono qui” lei si sentì persa nel vuoto d’un baratro. Rispondere con tale freddezza mentre lei si era lasciata totalmente andare. L’aveva reso il suo bisogno, il suo fremito, il suo odore e glielo aveva detto. Si aspettava rispondesse con pari ardore. Si aspettava gli occhi lucidi, una dichiarazione densa come miele caldo; si aspettava di salire in macchina e partire insieme.
Quando lui rispose “sono qui” lei disse “qui dove?”