giovedì 27 settembre 2007

ridere, ridere, ridere ancora

Ci sono facce che ti fanno il solletico all’intestino e tutte le budella si contorcono e ridono e si attorcigliano. Facce che non devono far altro che essere facce. Solo facce. E da facce sanno riflettere la gioia del mondo e spruzzicchiarla qua e là anche su pareti orgogliose del loro bianco. Sapere dove la trovano si andrebbe a cercarla da noi. La gioia del mondo. O forse no. Forse la si andrebbe a nascondere meglio, tatuandoci la mappa del tesoro nell’interno coscia. Così almeno avremmo un motivo per attendere un attimo prima di sfilarci le mutande. Ma un attimo è breve e l’attimo dopo quella mappa starà già sudando, sfregandosi su qualche altra parte di qualche altro corpo. Non ci sono più segreti. Non ci sono più motivi. Non ci sono più tesori. Né autentici cercatori. Ci sono solo le X. Tante X per capire dove affondare. E ci sono sedicenti esploratori coi vestiti attillati che affondano e si fanno affondare. Affondano e si fanno affondare. Senza battagliare, né per nave né per terra. E da uno sforzo nullo non esce che un nulla forzato. Ci sono sedicenti esploratori coi vestiti attillati e senza gli adeguati occhiali. Non distinguono il nulla. Non distinguono nulla. Ci sono facce che godono. Godono soltanto. Godono e vogliono godere. Ci sono facce che dimenticano altre facce e godono alla faccia di chi non ha la faccia per far lo stesso.

domenica 23 settembre 2007

momenti

Ci son momenti in cui sei come sabbia nelle mutande. Altri in cui ti sorseggio, delicato the, fra desolate lande.
Nei momenti che sei sabbia, sono nella risacca. E tutto si muove, su e giù, senza stabilità, senza un unico verso. Sono i momenti in cui mi sento vivo: la salsedine che sporca i capelli, il fastidio tra le gambe.
Nei momenti che sei the, profumi di lamponi. Tutto di te profuma di lamponi e dei cespugli in cui si colgono, degli alberi sotto i quali nascono, delle foglie che li proteggono. Nei momenti in cui sei the, ti gusto ad occhi chiusi, senza zucchero, senza pentirmi di un solo minuto.

giovedì 20 settembre 2007

coboldi rubicondi








Ci sono omini piccoli e bruttini,
che la notte disfanno ciò che di giorno combini.
Ci sono omonculi coperti di foruncoli,
che nascondono tesori non solo ai ladruncoli.
Ci sono ometti stracolmi di dispetti,
che rendono imprevedibile quello che ti aspetti.
Coboldi rubicondi, esserini nauseabondi,
dalle incerte intenzioni e dai volti rotondi.
Coboldi rubicondi, come le zanzare,
non le vedi quasi mai ma le senti ronzare.
Creaturine inaspettate cambiano i destini,
ti credi da solo e ce li hai nei calzini,
ti senti felice e sei tra i burattini,
pensi al futuro e ti scherzano da cretini.
Coboldi rubicondi, ebbri di girotondi,
lasciatemi il mio tesoro brutti manigoldi,
smettete di ingannarmi, arrivereste per secondi,
con le vostre bugie disseminate altri mondi.

venerdì 14 settembre 2007

sciogli le scarpe e cadi

Quando le lancette sono gatto che ti insegue, topo affannato e smarrito: sciogli le scarpe e cadi.
Senza curarti di risa e sguardi triangolari, di girotondi di suole sporche: sciogli le scarpe e cadi.
Rialzati con la calma delle maree, e con la loro noncuranza lasciati libero da nodi. Per cadere ancora.
Non temere di morire livido, temi di non accorgertene e fuggi questo rischio, con le scarpe sciolte, e cadi.
Non devi spiegare le stringhe al vento, devi spiegare le parole non scelte e quelle non dette perché eri ancora in piedi.
Sciogli le scarpe e cadi. E cadi e ancora cadi. Cammina con i lacci fra i passi e lasciati rischiare, lasciati cadere.
Sciogli le scarpe e cadi, di sassi e sorrisi, respiri, rugiada e sudore, di baci e ricordi, di notti insonni dormite a forza.
Il giorno è in piedi, ed ogni frammento di sole e di luna. Se cerchi le stelle, però, allora sciogli le scarpe e cadi.

mercoledì 12 settembre 2007

la maledizione del foglio bianco

Come fumo nell’aria ne ho avvertito l’odore spesso negli anni; e le chiacchiere, chiacchiere che ne avevano paura. Mai temuta da parte mia. Che di qualcosa si dovrà pur soffrire e magari fosse solo lei.
Il foglio bianco si riempie sempre sotto le mie mani. Si copre di colore mentre i giorni sbiadiscono. E sbiadiscono gli amori, ma non la fiamma che li alimenta. Così brucio di dolore nel vuoto che mi abbraccia.
Ma tu chi sei? Chi sei? Chi sei mai stata? Cosa fai quando io non lo so? E perché, perché, perché stai qui?
In via Adige scorre un fiume allegro che sa cosa incontrerà. Lo rinchiudo, lo porto con me, ma so cosa incontrerà. Il fiume rallegra quando scorre; fra mille lune imparerà a godere rinchiuso nel mare. Io sono prigione.
E allora che vuoi? Perché sei qui? Perché da me? Perché mi trattieni? Perché mi insulti, mi picchi e poi scompari?
Genocidio di massa il mio crimine nell’altra vita. Non si tramuta in dolce un assassino. Se così tanto devo scontare, conviene continuare a peccare. Almeno poterti urlare, gridare, abbaiare. Almeno poterti maledire, senza sentirlo, ma poi guardarmi allo specchio sereno.
Un altro aborto. Non nasco. Non nasco mai. Combatto sempre e male: non nasco mai. E’ finita. Mai iniziata e già finita. Nell’incompiuto gesto sacrifico la mia vita. Nella maledizione di un foglio bianco che riempio. Nella maledizione di una vita rossa che porto appresso, riempio e svuoto, astuccio di penne per il mio foglio sporco.

martedì 4 settembre 2007

senza intonaco

Il fascino dei mattoni a vista è indiscutibile. Sono un po’ le casette dei bambini. Anche i bambini hanno i mattoni a vista. Una resa, mani in alto e armi a terra e che vada come vada. Certo il cielo è un po’ grigio; è sempre un po’ grigio. Ma questo aiuta la creatività. Come la pioggia. Ogni mezzora. Magari aiuta anche la pelle; diventerà pure impermeabile prima o poi. Così il naso cesserà di gocciolare. E poi via senza precauzioni. Timori e eccessive cautele. Sui mattoni a vista non si scrive, non si prendono a scalpellate. Non c’è da chiedere altro se non che la cornamusa taccia. Ma non per sempre, non vorrei i mattoni ne risentissero. Sono pronto ad abituarmi io. E alla birra. Ai locali non rinuncerei mai. Ci giocherei a nascondino, comodo nell’angolo più nascosto e poi d’antro in antro. Di fiore in fiore nei giardini. Curati d’eccesso che rapisce il riso. Troppi colori che strizzano gli occhi e offendono il cielo. E rallegrano l’animo. E gli domandano d’affezionarsi. Qualcosa a cui legarsi. Labile, certo, ma bisogna ripartire. Ricominciare e iniziare da capo. Che il passato l’ho saldato e di futuro non ne vedo. Allora lo dipingo. Tra mattoni senza intonaco, che son stufo degli strati. Li accarezzo e non so sfogliarli. Risparmiate le domande e le illazioni. Fuggo è vero. Nel primo posto capitato è falso. Se fosse sempre vacanza perderebbe senso. Ho anch’io splendidi mattoni. Son costruito con i più lucenti e teneri. Ho voglia di metterli all’aria. Farli respirare e nasconderli. Chi non ne ha approfittato non ne abbia più possibilità. Per gli altri dolcezza. Non potevano non saperlo. Doveva arrivare il momento. Dovrà arrivare il momento. Le scale a chioccola ti girano intorno. E salgono, salgono. Verso il freddo, la pioggia. Verso il cupo tempo che dà il verde rigoglioso. Verso la mattina. Svegliarsi per la speranza d’una briciola di sole sulle case. E’ della fantasia che m’innamoro. Se posso pensare ciò che sarà. Se posso sperare che un giorno sarà. E’ per questo che sarò là.