sabato 29 novembre 2008

provando...

Guardami, guardami adesso e dimmi cosa vedi. Cosa c’è sul mio viso, sul mio collo, le più piccole percezioni, i più leggeri mutamenti. Il sospiro di un pensiero sottopelle, la cute screpolata, i peli tremanti. Guarda, non aver paura. Dimmi cosa leggi sul mio corpo, perché le parole non sanno spiegare ciò che questo vuole confidare. Le grinze di un qualche organo tra lo stomaco e il petto, il languore della saliva sulle pareti della gola, le dita sulla tastiera incerte e frenetiche. Respiro, respiro a fondo. Ancora una volta. Guardami e leggimi, meglio di così non so dirtelo.

venerdì 22 agosto 2008

Verbania 02.08.08

-Perdonatemi l’ardire- Ed iniziò. Non voleva esser perdonato affatto. Voleva colpire soffice come un velluto e indelebile come una marchiatura a fuoco. Restare latente nelle meningi per ricomparire di tanto in tanto, far capolino nei sogni e tramutarli in incubi. Scavare nella pochezza affinché i poveri malcapitati potessero intravedere una via d’uscita. -Non è mia intenzione intromettermi nelle vostre abitudini- Com’è vero che il mondo socchiude le proprie porte a chi sa scegliere le giuste parole –Io sono a cena solo e giustamente sto in silenzio, oppure scrivo sul mio blocco, dando l’idea d’essere un pazzo- E qui lascia spazio a una risata efficace per allentare la tesa attenzione della coppia. – Ma mi chiedevo perché, voi che siete andati a cena insieme, passate il tempo a leggere ognuno una diversa rivista. Non avete davvero nulla da dirvi?- Ecco, se ora arrivasse il suo arrosto di pesce sarebbe perfetto, potrebbe concludere dicendo –Ah, ecco il mio pesce arrosto. Scusate il disturbo, buon appetito!- Poi dovrebbe fissare soltanto il piatto, sopportare ancora per qualche secondo gli sguardi disorientati dei suoi vicini di tavolo finché questi, indecisi se rispondere o meno, desisteranno, preferendo lasciare il visionario scrittore al suo gustoso pasto solitario.

Abetone 29.07.2008

Chiamami viaggio, scordati di me,
sarò partito, lontano, sordo
a richiami che non siano tuoi.
Tu chiamami viaggio e apparirò,
con mano tesa e sporca
sarò strada e terra e deserto.
Conta le stelle, chiamami ad ognuna,
ascolterò le loro voci e sarà la tua,
sempre, arriverò, ti chiederò in sposa.
Diverrai rosa di vergogna dietro le orecchie,
io sarò viaggio, tu sarai meta,
in un sussurro i nostri sorrisi, il tuo diniego.
Mi chiamerò viaggio ancora e ancora,
d’una attesa fertile in cui sbocci il tuo viso,
a rammentare che di viaggio ho zuppa la pelle.

lunedì 30 giugno 2008

Sssssss. Fate silenzio.
Mi avete dimenticato? Avreste dovuto.
Io non ci sono più, sono uno spettro. Che appare e muore lì dov’è, dopo averti sorriso e dato la mano.
Non dovreste esser qua, nessuno dovrebbe, io non dovrei.
Se ci sono è contro la mia volontà, violentata e costretta dall’altra mia volontà.
Di promesse non ce n’è, solo piante rampicanti irte di spini e brandelli di lettere strappate che incastrate oscillano al vento. Non seguirle, non comporle, dimenticale e fuggi. Dagli spettri per sempre.
La follia marcisce ciò che resta e seppur qualcosa ancora fiorisca è questione di tempo, io non ci sono più.

giovedì 7 febbraio 2008

diario di una fine

Ad ora il blog è chiuso.
E' stata la decisione di un minuto fa. Improvvisa e del tutto inaspettata. La prima volta che lo penso. Credevo sarebbe morto di morte naturale, nel lento vicendevole dimenticarsi. Non immaginavo avrei dovuto forzarmi così tanto.
Andavo gironzolando per blog. Anche ficcando il naso dove non avrei dovuto, lo ammetto. Ho capito che anche il blog è scappare. Il diabolico meccanismo di parlare con una persona precisa ma con nessuno in particolare, sebbene tutti lo possano leggere. La follia di scrivere di un evento reale in un modo onirico, benchè vere siano le emozioni che si incidono. In un lampo mi è apparso tutto come è, o almeno come ora son convinto che sia: un velo traslucido che protegge dal mettersi davvero in gioco.
E smetto.
Mai come ora vorrei non aver capito. Vorrei non aver mai acceso il computer stasera. Esser andato direttamente a letto. Star pensando al prossimo post, tutt'altro diario.
Mi mancherà. E' che ho paura mi manchi più la funzione pubblica di quella intima. Più pensare le mie parole indossate dal tuo corpo piuttosto che semplicemente uscite dal mio. Se così non sarà, forse tornerò sui miei passi. Magari la notte porterà consiglio e cambierò quest'idea che sto cercando di combattere. Magari la vita porterà consiglio.
Da un pò ho definito questo blog "la grotta". Credo stasera d'averne capito fino in fondo il significato. E non posso tirarmi indietro dal metterlo in pratica. La grotta è fonda e buia, ma dentro ci sono io e questo tutti lo sanno. Non c'è alibi per restare fuori. Non c'è scorciatoia per legger dall'esterno dei miei fuochi e dei miei prati. C'è bisogno di bussare. Un bisogno viscerale di bussare ed entrare. Percorrere ogni passo fino in fondo e incontrarsi per davvero. Io mi impegnerò a non mimetizzaarmi con la roccia. Ad esserci per chiunque entri, senza nascondere il mio odore, il mio alito i miei occhi.

domenica 3 febbraio 2008

qua

Qua l’aria sa di legna che brucia nei camini, i muri dell’amore rubato sotto il sole e gli angoli son posti in cui la mente si riposa.
Qua il freddo getta un velo di polvere sottile, le sciarpe si camuffano d’abbracci generosi e campane di lampioni ci vegliano ingiallite.
Qua tutto è un leccare di piccole ferite, t’amo più delle scale che devo risalire e la chiesa è solo un punto intorno a cui girare.
Qua ci son pietre su cui poggiar la testa, nidi di pensieri cresciuti con il tempo e momenti in cui tremo nel ricordo dell’estate.

martedì 22 gennaio 2008

Dove sei, cosa fai,
ora che sto qui con chi stai,
son domande, io lo so,
che proprio non dovrei.
Io che scrivo, scrivo ancora,
ma questo già lo sai,
e m’interrompo come prima,
ma stavolta non mi sgriderai.
E cos’è, questa qua,
proprio io non lo so,
un qualcosa che servirà,
ad arrabbiare gli amici miei.
Loro no, non lo sanno,
come è che è,
quando loro non ci stanno,
e la penna s’intinge in te.
Se la carta mi bruciasse,
forse non sarei così,
con le piaghe a deturparmi,
forse finirebbe lì.
Eppure io, io lo so,
che niente più cambierà,
quel che è stato è già stato,
e nulla più tornerà.
Chiedo solo di lasciarmi,
l’illusione che ci sia,
un solo segno, pure blando,
ma lasciato dalla mano mia.
E questa qua, io lo so,
non aiuterà un granché,
sono strofe sgrammaticate,
ancora in cerca di un perché.
Forse il modo per ammettere,
che è davvero finita qui,
che sono fragile, non so scrivere,
e che è davvero finita qui.

mercoledì 16 gennaio 2008

il mio nome è vieni con me

Quando ci incontrammo disse solo “Il mio nome è vieni con me”.
Fu in una strada vera, troppo diversa da quelle che conoscevo. Brividi mi distolsero.
Rimanemmo a guardarci immobili, nessun’altra parola. Distanti; finché non se n’ebbe più traccia e rincasai.
Passò un giorno o anni e tornai nello stesso punto. “Il mio nome è vieni con me”.
“Ma come? Dove? Perché? Fin quando? Cos’accadrà? Cosa c’è di sicuro?”
Ancora fermi, separati da una distanza incolmabile. Nessun’altra parola; finché non se n’ebbe più traccia e rincasai.
Il giorno dopo o dopo anni, riandai lì, in quello stesso posto. “Il mio nome è vieni con me”.
Rimasi in silenzio, rimanemmo in silenzio. Il mio passo che voleva muoversi non si mosse; provò ma non si mosse.
Il perdurare dello spazio fra noi; finché non se n’ebbe più traccia e rincasai.
Tornai nel medesimo tempo e nel medesimo luogo, senza che nulla però si presentasse di nuovo alla mia vista.
Aspettai per un giorno o per anni. Mi consumai nell’attesa; finché di me non si ebbe più traccia né mai rincasai.

domenica 13 gennaio 2008

senza paura

Chiedimi come si chiama, ma non aspettarti una risposta. Se una risposta non c’è o se è stata frullata in centinaia di posti distanti. Dove i tetti son tetti e colorati di soli diversi. Chiedimi come si chiama e accetta le mie battute. Si ride sempre, sempre, sempre quando si vuol star bene. Chiedimi come si chiama, chiedimelo. C’era una volta una voglia, a forma di nave, con le vele spiegate e un mozzo sporgente dalla prua. Chiesi chi era il mozzo. Come si permetteva di guardarti lì, di guardare la tua voglia, di sporgersi per vedere oltre. Seppi che ero io il mozzo e che potevo guardare dovunque, perché era dal tuo luogo più segreto che provenivo. E tu ora chiedimelo, chiedimelo senza paura, che ci sarà tempo per rabbrividire. Chiedimi una coperta e la chiamerò coperta. Chiedimi dell’acqua e la chiamerò acqua. Chiedimi una sedia e la chiamerò sedia. Chiedimi il nome di ogni cosa e sarai quella cosa, così come lo sono io. Chiedimi anche come si chiama, chiedilo una volta sola e cerchiamo insieme una risposta.

martedì 8 gennaio 2008

lettera dallo scrigno

E così vieni e vai, d’una folata. E tutta la tua vita è di nuovo sparita. Ti ho aspettato, ti ho creduto, perso e ritrovato. Quando ho vinto, se ho vinto, è perché ti ho pensato.
D’uno scrigno son geloso, d’uno scrigno non so fare a meno. E’ tenere fra le mani la tua vita, per un sogno intero. Ho leccato le parole, le loro combinazioni. Le ho mangiate, digerite, a stento conservate. Quel che non ho fatto mai è lasciarle sperdute.
Nel tuo scrigno sono un uomo ancora senza volto. Io ti leggo, ti rileggo, ancora senza volto. E’ un barlume, una luce, solo in un momento. Sono io, torno uomo, con il tuo volto.
Quella linea è labile, il taglio d’una pagina. Camminarci sopra fa venire la vertigine. E la folle consapevolezza di volere cadere. A destra, a sinistra, nella carta e nel cuore.
Mi rifugio dove so e dove anche te sai. Se cercarci vorremmo potremmo non lasciarci mai. Troppi passi si son persi tra foreste sempre nuove. Ritrovarci, ritrovarsi, più insieme continuare a cercare.
Nel tuo scrigno ho amato e lo chiudo stretto a chiave. Non c’è magia né magia che mi possa far pentire. Alza il vento, tu che puoi, fallo scorrere ed urlare. Che mi copra quella voce, che nasconda il mio inveire.
Nel tuo scrigno il ricordo vorrei fosse colorato. Delle tinte in cui nel tempo tu mi hai disegnato. Non ho voglia, non ho modo, di sfogarmi per altre strade. Che se è il tuo petto a volerlo, allora placa la sua sete.
In quello scrigno ho pianto e anche disperato. Non avrei saputo mai come sarebbe accaduto. Lo tengo qui, lo tengo stretto. Stringo lo scrigno, mi ferisco e ti aspetto. Ti aspetto là, che tutto è bianco. Ci vediamo là, son tanto stanco.

mercoledì 2 gennaio 2008

a pochi giorni

Ed io son qui, a pochi giorni.
Seduto qui, a pochi giorni.
Dalla finestra, tra poco ritorni.
Ti aspetto qui, a pochi giorni.

Ed io son qui, a pochi giorni,
immaginando veglie e contorni.
Ed io son qui, a pochi giorni,
e sento bruciare le mie carni.

Io sono qui, a pochi giorni,
con la paura di svegliarmi.
Non riuscirò ad abituarmi,
a non sentirmi a pochi giorni.

Guardami qui, a pochi giorni,
e non scordarti di pensarmi.
Se sono qui, a pochi giorni,
è per la voglia di sfogliarmi.