martedì 22 gennaio 2008

Dove sei, cosa fai,
ora che sto qui con chi stai,
son domande, io lo so,
che proprio non dovrei.
Io che scrivo, scrivo ancora,
ma questo già lo sai,
e m’interrompo come prima,
ma stavolta non mi sgriderai.
E cos’è, questa qua,
proprio io non lo so,
un qualcosa che servirà,
ad arrabbiare gli amici miei.
Loro no, non lo sanno,
come è che è,
quando loro non ci stanno,
e la penna s’intinge in te.
Se la carta mi bruciasse,
forse non sarei così,
con le piaghe a deturparmi,
forse finirebbe lì.
Eppure io, io lo so,
che niente più cambierà,
quel che è stato è già stato,
e nulla più tornerà.
Chiedo solo di lasciarmi,
l’illusione che ci sia,
un solo segno, pure blando,
ma lasciato dalla mano mia.
E questa qua, io lo so,
non aiuterà un granché,
sono strofe sgrammaticate,
ancora in cerca di un perché.
Forse il modo per ammettere,
che è davvero finita qui,
che sono fragile, non so scrivere,
e che è davvero finita qui.

mercoledì 16 gennaio 2008

il mio nome è vieni con me

Quando ci incontrammo disse solo “Il mio nome è vieni con me”.
Fu in una strada vera, troppo diversa da quelle che conoscevo. Brividi mi distolsero.
Rimanemmo a guardarci immobili, nessun’altra parola. Distanti; finché non se n’ebbe più traccia e rincasai.
Passò un giorno o anni e tornai nello stesso punto. “Il mio nome è vieni con me”.
“Ma come? Dove? Perché? Fin quando? Cos’accadrà? Cosa c’è di sicuro?”
Ancora fermi, separati da una distanza incolmabile. Nessun’altra parola; finché non se n’ebbe più traccia e rincasai.
Il giorno dopo o dopo anni, riandai lì, in quello stesso posto. “Il mio nome è vieni con me”.
Rimasi in silenzio, rimanemmo in silenzio. Il mio passo che voleva muoversi non si mosse; provò ma non si mosse.
Il perdurare dello spazio fra noi; finché non se n’ebbe più traccia e rincasai.
Tornai nel medesimo tempo e nel medesimo luogo, senza che nulla però si presentasse di nuovo alla mia vista.
Aspettai per un giorno o per anni. Mi consumai nell’attesa; finché di me non si ebbe più traccia né mai rincasai.

domenica 13 gennaio 2008

senza paura

Chiedimi come si chiama, ma non aspettarti una risposta. Se una risposta non c’è o se è stata frullata in centinaia di posti distanti. Dove i tetti son tetti e colorati di soli diversi. Chiedimi come si chiama e accetta le mie battute. Si ride sempre, sempre, sempre quando si vuol star bene. Chiedimi come si chiama, chiedimelo. C’era una volta una voglia, a forma di nave, con le vele spiegate e un mozzo sporgente dalla prua. Chiesi chi era il mozzo. Come si permetteva di guardarti lì, di guardare la tua voglia, di sporgersi per vedere oltre. Seppi che ero io il mozzo e che potevo guardare dovunque, perché era dal tuo luogo più segreto che provenivo. E tu ora chiedimelo, chiedimelo senza paura, che ci sarà tempo per rabbrividire. Chiedimi una coperta e la chiamerò coperta. Chiedimi dell’acqua e la chiamerò acqua. Chiedimi una sedia e la chiamerò sedia. Chiedimi il nome di ogni cosa e sarai quella cosa, così come lo sono io. Chiedimi anche come si chiama, chiedilo una volta sola e cerchiamo insieme una risposta.

martedì 8 gennaio 2008

lettera dallo scrigno

E così vieni e vai, d’una folata. E tutta la tua vita è di nuovo sparita. Ti ho aspettato, ti ho creduto, perso e ritrovato. Quando ho vinto, se ho vinto, è perché ti ho pensato.
D’uno scrigno son geloso, d’uno scrigno non so fare a meno. E’ tenere fra le mani la tua vita, per un sogno intero. Ho leccato le parole, le loro combinazioni. Le ho mangiate, digerite, a stento conservate. Quel che non ho fatto mai è lasciarle sperdute.
Nel tuo scrigno sono un uomo ancora senza volto. Io ti leggo, ti rileggo, ancora senza volto. E’ un barlume, una luce, solo in un momento. Sono io, torno uomo, con il tuo volto.
Quella linea è labile, il taglio d’una pagina. Camminarci sopra fa venire la vertigine. E la folle consapevolezza di volere cadere. A destra, a sinistra, nella carta e nel cuore.
Mi rifugio dove so e dove anche te sai. Se cercarci vorremmo potremmo non lasciarci mai. Troppi passi si son persi tra foreste sempre nuove. Ritrovarci, ritrovarsi, più insieme continuare a cercare.
Nel tuo scrigno ho amato e lo chiudo stretto a chiave. Non c’è magia né magia che mi possa far pentire. Alza il vento, tu che puoi, fallo scorrere ed urlare. Che mi copra quella voce, che nasconda il mio inveire.
Nel tuo scrigno il ricordo vorrei fosse colorato. Delle tinte in cui nel tempo tu mi hai disegnato. Non ho voglia, non ho modo, di sfogarmi per altre strade. Che se è il tuo petto a volerlo, allora placa la sua sete.
In quello scrigno ho pianto e anche disperato. Non avrei saputo mai come sarebbe accaduto. Lo tengo qui, lo tengo stretto. Stringo lo scrigno, mi ferisco e ti aspetto. Ti aspetto là, che tutto è bianco. Ci vediamo là, son tanto stanco.

mercoledì 2 gennaio 2008

a pochi giorni

Ed io son qui, a pochi giorni.
Seduto qui, a pochi giorni.
Dalla finestra, tra poco ritorni.
Ti aspetto qui, a pochi giorni.

Ed io son qui, a pochi giorni,
immaginando veglie e contorni.
Ed io son qui, a pochi giorni,
e sento bruciare le mie carni.

Io sono qui, a pochi giorni,
con la paura di svegliarmi.
Non riuscirò ad abituarmi,
a non sentirmi a pochi giorni.

Guardami qui, a pochi giorni,
e non scordarti di pensarmi.
Se sono qui, a pochi giorni,
è per la voglia di sfogliarmi.