giovedì 7 febbraio 2008

diario di una fine

Ad ora il blog è chiuso.
E' stata la decisione di un minuto fa. Improvvisa e del tutto inaspettata. La prima volta che lo penso. Credevo sarebbe morto di morte naturale, nel lento vicendevole dimenticarsi. Non immaginavo avrei dovuto forzarmi così tanto.
Andavo gironzolando per blog. Anche ficcando il naso dove non avrei dovuto, lo ammetto. Ho capito che anche il blog è scappare. Il diabolico meccanismo di parlare con una persona precisa ma con nessuno in particolare, sebbene tutti lo possano leggere. La follia di scrivere di un evento reale in un modo onirico, benchè vere siano le emozioni che si incidono. In un lampo mi è apparso tutto come è, o almeno come ora son convinto che sia: un velo traslucido che protegge dal mettersi davvero in gioco.
E smetto.
Mai come ora vorrei non aver capito. Vorrei non aver mai acceso il computer stasera. Esser andato direttamente a letto. Star pensando al prossimo post, tutt'altro diario.
Mi mancherà. E' che ho paura mi manchi più la funzione pubblica di quella intima. Più pensare le mie parole indossate dal tuo corpo piuttosto che semplicemente uscite dal mio. Se così non sarà, forse tornerò sui miei passi. Magari la notte porterà consiglio e cambierò quest'idea che sto cercando di combattere. Magari la vita porterà consiglio.
Da un pò ho definito questo blog "la grotta". Credo stasera d'averne capito fino in fondo il significato. E non posso tirarmi indietro dal metterlo in pratica. La grotta è fonda e buia, ma dentro ci sono io e questo tutti lo sanno. Non c'è alibi per restare fuori. Non c'è scorciatoia per legger dall'esterno dei miei fuochi e dei miei prati. C'è bisogno di bussare. Un bisogno viscerale di bussare ed entrare. Percorrere ogni passo fino in fondo e incontrarsi per davvero. Io mi impegnerò a non mimetizzaarmi con la roccia. Ad esserci per chiunque entri, senza nascondere il mio odore, il mio alito i miei occhi.

domenica 3 febbraio 2008

qua

Qua l’aria sa di legna che brucia nei camini, i muri dell’amore rubato sotto il sole e gli angoli son posti in cui la mente si riposa.
Qua il freddo getta un velo di polvere sottile, le sciarpe si camuffano d’abbracci generosi e campane di lampioni ci vegliano ingiallite.
Qua tutto è un leccare di piccole ferite, t’amo più delle scale che devo risalire e la chiesa è solo un punto intorno a cui girare.
Qua ci son pietre su cui poggiar la testa, nidi di pensieri cresciuti con il tempo e momenti in cui tremo nel ricordo dell’estate.