I quiz hanno un gran potere su di me. Mi chiamano, mi propongono
di partecipare a un quiz radiofonico sui giochi da tavolo, che è il mio pane da
alcuni anni, e non so resistere. Dovevo capire dallo sfidante che era una
trappola; Luigi Ferrini non si poteva battere, non fosse altro per l’aura di
conoscenza che porta con sé. Ho scoperto che il timore reverenziale passa anche
dai cavi telefonici perché troppe volte sapevo la risposta e la mia mente non
ha collaborato: la risposta è la A, la risposta è la A, eppure dicevo B. Fatto
sta che ho perso, e ora pago pegno. La penitenza dello sconfitto la sceglie il
vincitore, queste sono le regole, e siccome Luigi Ferrini mi conosce bene, sa qual
è il mio punto debole: il tempo. Di tempo libero io non ne ho; o meglio, ho il
tempo libero di tutti naturalmente, solo che ce l’ho già impegnato fino al 2023.
Ed è lì che infierisce il mio avversario: mi costringe ad inventare altro tempo
dove non ce n’è, e di usare questo tempo inventato per scrivere post sul mio
blog. Poteva andarmi peggio penserete voi; raccontatelo a tutti quelli che
domani mi chiederanno conto delle scadenze, rispondo io. Comunque tant’è, ormai
è inutile lamentarsi, paghiamo i nostri debiti di gioco e, già che ci siamo,
facciamolo con stile.
Riflessioni dell’anno capitolo 1: i
Prototipi
Ho deciso di scrivere una specie di diario di questa prima
metà del 2019, un diario dal punto di vista ludico ovviamente, vi risparmio i
problemi personali. Dunque la premessa doverosa è che sto collaborando con un
editore per lo sviluppo di giochi da tavolo inediti, e questo mi porta a
provare moltissimi prototipi e a conoscere altrettanti autori in erba. L’incontro
con gli autori inizia sempre bene per me perché alla fine provare nuovi giochi
mi piace, perciò mi diverte informarmi sul gioco e sull’autore e scherzare con
lui. Insomma penso di risultare simpatico a tutti fino all’inizio delle
spiegazioni. Tutto sommato anche dopo, perché non intervengo quasi mai nella
fase delle regole, ascolto, mi faccio una prima idea ma non dico niente prima
di giocare. Il problema nasce subito dopo. Ci sono giochi in cui ti fai un’idea
precisa dei problemi in pochi minuti, ma è brutto chiedere di fermarsi subito,
così resisto per almeno metà partita e poi la butto là: “Comunque il gioco mi è
chiaro, possiamo anche fermarci per me”. A quel punto gli occhi di Bambi: grandi,
tremolanti, con i lucciconi. Non sono mai riuscito a guardare Bambi senza
commuovermi, così accetto di finire la partita, ma con il senno di poi non è una
buona scelta per nessuno. Non lo è per me perché mi rendo conto di star
buttando ore preziose della mia vita senza motivo; non lo è per l’autore perché,
con quella consapevolezza in mente, divento più cattivo. Nella fase successiva passiamo
da Bambi all’Uomo Tigre. Comincio ad avventarmi sul malcapitato autore con il
sacro fuoco della giustizia e smonto centimetro per centimetro il suo gioco. Scritto
così sembra essere uno sport per me ma non lo è, rimango sempre molto male
quando devo criticare a fondo un prototipo, ma lo faccio perché mi sembra
rispettoso dell’autore stesso; l’alternativa sarebbe mentirgli e dargli false
speranze. Io non mento, cerco di essere educato ma netto e questo apre a delle
reazioni interessanti, non tanto nell’immediato, quanto nei giorni successivi.
C’è che prende bene le mie critiche appassionate e mi fa scalare rapidamente la
lista dei suoi migliori amici, scrivendomi in privato ogni nuova idea o
modifica. Poi c’è chi smette di salutarmi e questi sono i miei preferiti. A
volte cerco di immaginarmi cosa pensano di me; che siano improperi è certo, ma spero
almeno che siano fantasiosi, creativi più di quanto abbia dimostrato il loro
lavoro. Quello che penso io di loro lo dichiaro apertamente qui, a scanso di
equivoci. Penso che gli amici che ti dicono “carino” siano inutili, mentre gli
editori che ti dicono “carino” ti stanno fregando. Peraltro penso che “carino” non
sia più sufficiente da tempo, “carino” è il nuovo “di merda” e di merda è pieno
il mercato dei giochi in questi anni.