lunedì 26 ottobre 2009

l'amore oltre

In un bagno d’escrementi e di sudore,
io ti chiedo, io ti chiedo dove va
tutto questo insostenibile stupore,
tutta questa indecifrabile pietà.
E pietà io non vorrò saperla
nei miei occhi, nei tuoi occhi, nello specchio,
neanche il giorno che vedendoti ancor bella,
mi scoprirò naturalmente troppo vecchio.
L’amore oltre le finestre tanto spesse,
oltre i libri di immutabili realtà,
oltre i dogmi, le parole, le certezze,
oltre gli attimi di rubata intimità.

sabato 5 settembre 2009

Salme che camminano in sandali. Su pietre o sabbia, asfalto. Salme che camminano in sandali aspettando cenni dall’alto. E l’alto si sposta, l’alto capovolto torna innanzi divertito. Divertito. Che di riso ce n’è piene le tasche, da giacche e pantaloni si perde e rotola, sospeso non affonda, rotola o si prepara a farlo. Salme che camminano in sandali. Su strade di riso. Vuote buste di cielo, riempito alla rinfusa, dove il senso non si trova. Salme che camminano in sandali. E i sandali son laceri, sono ormai laceri. Del tutto fermi, i pensieri, il vento, i pensieri del vento che non ululano più. Così la notte arriva ed è silenziosa, vuota busta di stelle riempita alla rinfusa, dove il senso ancora non si trova. Passi di salme si spengono nei ricordi mentre il puzzo permane. Salme ferme a piedi nudi e il puzzo rimane. Salme ferme a piedi nudi e il puzzo rimane.

mercoledì 15 luglio 2009

con te

Portami via la mente, portala con te.
Lontana dall’altra gente, portala con te.
Fuggire dal presente, finché tempo c’è.
Ad inventare un futuro, portami con te.

Quando si svegliò quel giorno, la ragazza vide il sole forzare gli scuri e irrompere nella stanza. Che fosse nella sua città, nella sua casa, sul bordo del suo letto, era una bugia. Non si trovava più lì, non era più lei. L’aria si lasciava respirare con piacere, portando con se profumi d’infinite possibilità. Danzava, immobile danzava, senza peso danzava s’un pavimento di vetro, mentre sotto di lei il mondo sfumava straniero.

Stringi forte le mie dita, tienile con te.
La mia mano, le mie dita, tienile con te.
Intrecciate nella vita, finché tempo c’è.
Per parlare d’ogni sogno, tienimi con te.

Gli occhi d’improvviso aperti sul soffitto. Il soffitto d’improvviso coperto di foglie. Le foglie d’improvviso striate di vento. E il vento suonava, il vento soffiava, il vento portava i pensieri del ragazzo lontano, lontano come mai erano arrivati. Su distese sfocate correva una luce vera accanto a lui. Danzava con lui, su di lui. Scivolava sulle guance, sul collo, tra i capelli sorpresi si spingeva, mentre il mondo attorno sfumava straniero.

Portami via la mente, portala con te.
Lontana dall’altra gente, portala con te.
Fuggire dal presente, finché tempo c’è.
Ad inventare un futuro, portami con te.

venerdì 12 giugno 2009

corsa

Ci son mattine di sole annacquato, di cielo opaco, di vento strozzato. Mattine di giorni sbiaditi che raggomitolati in se stessi vogliono esser scordati. Ci son mattine che non ti aspetti possan diventar storia e leggenda. Son mattine, quelle mattine, da correre fino all’ultimo passo, all’ultimo miraggio, all’ultima tenda.
E la sera già affacciava al davanzale del meriggio quando tutto cominciò. Quasi per gioco, sfidando i dolori di corpi in disaccordo. Lui disse via, lei adeguò il ritmo dei suoi passi. Fu corsa leggera sul sentiero sconnesso. Sassosa la serpe grigiastra sgusciava nell’irreale silenzio d’alberi e prati. Occhiali da sole proteggevano da minacce invisibili, mentre il contrasto di magliette cercava un incontro nella sincronia dei passi appaiati. Intanto la strada si srotolava allegra quanto le parole che a tratti scambiavano.
Lei disse basta, lui si fermò, erano stati bravi. I polmoni inseguivano grossolani bocconi d’aria per lenire la fatica, ma era la soddisfazione il balsamo migliore. Erano stati bravi, lui glielo ripeteva. Erano stati bravi. Lei inspirava e sorrideva, espirava e sorrideva. Ripresero a correre quasi per gioco. Appena il cuore ebbe rallentato ricominciarono i passi a galoppare. Per poco, doveva essere per poco, solo un piccolo, breve tratto. Troppo presto per affrontare la salita diceva lei. Troppo presto per affrontare la salita diceva lui.
Il lago s’avvicinava velocemente, poi sfilava alla loro destra, portando con se il fascino sporco delle sue acque verdi. Ancora qualche passo e tutto sarebbe finito. Ancora qualche passo. Ora possiamo fermarci, disse lui, ma la storia non la pensava alla stessa maniera, aveva deciso di lasciare un segno in quel pomeriggio. Ora possiamo fermarci. Lei continuava a correre, lui la seguiva guardandola stupito. Lei disse qualcosa che lui non afferrò, non serviva sapere altro, era davvero tutto chiaro.
Si trovavano su una spiaggia bianca di isopodi, sale e telline, in una foresta di foglie grandi come vassoi o sulla superficie obliqua d’un meteorite perso nello spazio. Si trovavano ovunque e in nessun luogo in quel momento. Lei non correva, gridava di essere al mondo. Lui non correva, guardava lei incidere indelebile la propria impronta. La fatica non le facilitò il compito, scelse di contrastarla in ogni modo, per rendere più esaltante la vittoria.
E di vittoria si trattò.
Dovunque si trovassero, tornarono sul sentiero quando la salita finì. I capelli di lei continuavano a tremare pur senza i sobbalzi della corsa e per sentirla pronunciare di nuovo una parola dovettero passare lunghi minuti. Neanche lui parlava o forse delirava, non è facile trovar parole per le epiche imprese. In un attimo fu prato sotto le schiene e cielo davanti agli occhi. Cielo, tanto cielo, come una corona senza confini, da riempire, da rincorrere, da scalare.

domenica 3 maggio 2009

morsi d'armadio

Oh errante cavaliere dentro al mio specchio. Stamane ti vidi e compresi che era giunto il giorno.
Giorno di folletti e fate, di ucelli e scoiattoli e fratelli e foglie e sorelle e madri e padri e cani. Tutti attenti di silenziosi applausi intorno all'impresa. Ed io, te, convinto di farcela come mai prima.
Oh cavaliere procrastinante, quanto coraggio nell'affrontare quell'anta e ciò che essa ti scoprì davanti gli occhi. Fu battaglia vera, fu battaglia serena, fatalista finalmente e da poco sangue sporcata.
Morsi se ne videro, così come fendenti decisivi, ma era battaglia e niente di meno ci si aspettava. Morsi se ne videro e ferirono, ma il tempo fu clemente e presto tutto finì senza vittime, senza vincitori, senza vinti, solo con una buona battaglia combattuta.

martedì 7 aprile 2009

occhi stanchi

Ho gli occhi stanchi dietro le lenti,
pensieri arruffati come i capelli,
ho gli occhi rossi sotto le ciglia,
e rughe sottili solcan le tempie.
Ho gli occhi stanchi dietro le lenti,
la notte rincorre svelta il mattino,
con gli occhi stanchi dietro le lenti,
io mi sforzo di restarle vicino.
Ho gli occhi stanchi dietro le lenti,
il sonno scioglie caldo la pelle,
ho gli occhi chiusi dietro le lenti,
e il tuo viso sfuma assieme alle stelle.

martedì 24 marzo 2009

mi manchi

Mi manchi. E’ tutto qui. Cerco di non pensarci, di occuparmi la mente, le giornate, di concentrarmi sulle sfumature positive, ma mi manchi. E’ davvero tutto qui. E lo dico con semplicità, senza nascondermi, con la serenità di chi sa d’esser vittima dei propri errori. Non mi sono accontentato di ciò che c’era, ho sperato in di più e ora che non c’è più nulla, darei la mano destra per tornare a quei giorni e fermarmi lì. Quei momenti erano un’isola su cui ritemprarsi, mi sedevo di fronte a te e un po’ parlavo, un po’ ascoltavo, soprattutto ridevo, felice e me stesso, finalmente fino in fondo. Eppure forse neanche avendo una seconda opportunità mi accontenterei, forse ricadrei nello stesso sbaglio, perché si sa, l’amore è così, ingenuo fino alla stupidità più totale e circolare come il tuo sorriso che mi torna sempre in mente. Perciò credo tu faccia bene a starmi lontana, ad evitare di trovarti nuovamente di fronte a ciò che non vuoi. Forse, allo stesso modo, io farei bene a dirti quanto mi fa male questa tua distanza, ma alla fine non credo lo farò, perché si sa, l’amore è così, sempre spaventato di sbagliare e sempre speranzoso d’un nuovo spiraglio.

lunedì 9 marzo 2009

- Possiamo andare.
- Ne sei sicuro?
- Si.
- Non tornerai.
- Non voglio tornare.
- Lascerai tutti.
- Lo spero.
- La tua famiglia…
- Ho fatto quel che potevo.
- …gli amici…
- Se la caveranno.
- …la ragazza che ami…
- Non l’ha mai saputo.
- Ne sei sicuro?
- Voglio andare.
- E se non volessi portarti?
- Sceglieresti di farmi ancora male.

lunedì 23 febbraio 2009

chissà se senti i miei pensieri

Le parole mi restano dentro e non era mai successo. Se ti penso tremo e vampate di felicità e angoscia. Se ti vedo è pace, futuro, ma non ti vedo. Se ti sento è gioia di cui non mi sazio. E chissà se tu senti i miei pensieri. Da me nascono con una forza che sconvolge, rimbombano tuoni di pioggia argentea da cui non so ripararmi. In quel che son sempre stato ricerco le mie righe, implorandole di placare l’ansia, ma le parole parlano di te, tutte, e di te parla l’inchiostro leggero mentre scorre sorridendo alle tue guance. Chissà se senti i miei pensieri oltrepassare i muri tagliando frenetici l’aria fino alla tua finestra. Chissà se li senti chiamarti a piena voce, bussare ai vetri, chiederti di farli entrare e aspettare di paziente impazienza. Chissà se senti gli stessi pensieri costringermi qui, perso nel rischio d’esser felice. E io che incosciente accetto e ancora mi arrendo loro. Chissà se senti i miei pensieri accanto a te, sempre, scivolarti i capelli, afferrarti affusolati i polpacci. Chissà se senti i miei pensieri crescere con la naturalezza del vento e con la stessa spontaneità muovere dentro di te. Chissà se senti i miei pensieri incontrare i tuoi in un qualsiasi punto di quell’universo che tiene per noi.

domenica 25 gennaio 2009

per una nuova stagione

Scrollo la polvere dalle unghie, dai progetti a tre quarti come le maniche dei miei vecchi maglioni.
Esco dalla grotta e la luce mi screpola il viso. Il sole non si mostra ma le nuvole sorridono del suo chiarore, oblique nel cielo.
Se c’era un dentro ci sarà anche un fuori. Ed il fuori è un domani senza oggi, aggrappato con le dita, corroso dalla paura ma appeso. Appeso al vento, al vento abbandonato, tra onde d’aria feroci come draghi e capelli sempre più scompigliati.
Chissà se mi riconosco, chissà se so cambiare. Finire e poi ricominciare. Almeno provare, senza aspettative. Tornare e poi ripartire. Fissare il mio mondo lasciandolo girare.